Il fuoco della colpa.Per un credente come lui, non c'è acqua, fiume, lago, mare capace di spegnere le fiamme dell'inferno; se non con le lacrime, di dolore, che copiose gli scendono dagli occhi, rigandogli il viso, deplorando amaramente la sua colpa, come l'apostolo Pietro (Mt. 26,75). Ripetendo questo, e simili, tropari "catanittici" in cui ci si imbatte continuamente nella lunga liturgia della Chiesa, memorizzando, secondo l'uso monastico, i salmi davidici che nutrono la giornata del religioso, sottomettendosi all'obbedienza che gli impone e lo invita a garantire il riscaldamento degli edifici monastici, impegnandosi nella quotidiana fatica di picconare la pietra di carbon fossile, caricandola nella sua sgangherata carriola, percorrendo, avanti e indietro, mane e sera, le precarie impalcature lignee che collegano la carbonaia alla distante caldaia, buia, fumosa, fuligginosa, soffocante che costituisce, così, la sua cella monastica, ove esercitarsi nell'agone ascetico, dove anche dorme (sul carbone ammassato), prega (davanti ad una piccola, splendida icona di Cristo Salvatore, suo unico tesoro), sorveglia l'andamento del fuoco che arde,e ... si tormenta, insonne, nel rimorso.
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- Scritto da Padre Alessio
- Categoria: Arte e cultura