"Come la terra al naufrago…" (Omero, Odissea, Libro V).

Immagine espressiva e riassuntiva della vicenda umana che tutti ci accomuna, icasticamente espressa, riprodotta, formulata nella esemplare fiction cinematografica, creata dal bravo regista Pavel Lungin, magistralmente interpretata dall'espressivo Piotr Mamanov La parabola racconta il nostro eroe, istericamente trionfante sul barcone carico di carbone, maledicente i nemici odiati, i cattivi per antonomasia, i militari nazisti che sembrano ritirarsi, la­sciandolo incolume, al modico prezzo della sua distruzione morale, avendolo costretto ad uccidere il suo compagno comandante indifeso, dignitosamente sprezzante il pericolo e capace di tener testa alla bestiale brutalità degli avversari. Ignaro della trappola mortale tesagli dai soldati nemici, salta in aria con tutto il barcone. Fine della storia, sembrerebbe…
E, invece, inizio della vita, della sconcertante vicenda personale predisposta, per lui, dalla Provvidenza.

 

Naufragio ed approdo.

Ritrovato, sbattuto dalle onde del mare su di una spiaggia de­serta, di una isola solitaria, novella Ogigia, sperduta ai confini del mondo: non dell'altro, ma di questo. Dove lo soccorrono strani "angeli" in carne. Secondo il modello ascetico di vita cristiana che la Chiesa ortodossa, fedele all'insegnamento dei Padri, ripro­pone ai suoi fedeli, nel singolare e collettivo tentativo quotidiano di una faticosa, quanto benefica, mimesi di quel supremo arche­tipo di perenne immortale bellezza che esprime l’infinita tenerez­za, l'amorevole comprensione di quella fragile, debole, complessa realtà umana di cui tutti facciamo interiore esperienza. Gli "an­geli" monaci soccorrono un povero marinaio, naufrago, miracolato dal "destino". Veri "pescatori di uomini" del Vangelo di Cristo, si rivelano i pochi monaci, semplici religiosi, raccolti in un mi­nuscolo monastero russo, sorgente da una minuscola isoletta appe­na emergente dalle acque del mare.

Che può fare in un monastero un ex marinaio, fuochista inesperto, involontario assassino del suo indifeso (e mai più dimenticato) compagno comandante? Tormentato dal rimorso per il suo omicidio, che brucia nel suo cuore come la caldaia che un tempo alimentava di carbone, che incendia il suo intimo tormento, senza più alcu­na speranza?

Può… coltivare la segreta speranza nel perdono di Cristo!
Può sperare che, un giorno, il suo ex comandante lo perdoni e gli dica: "Vai in pace". Può nutrire l’intima speranza che, un giorno, possa riabbracciarlo sorridente e riconciliato? Può… fare il fuochista (questo sì) della sua nuova nave, l'isola gal­leggiante sul mare gelido del Nord; può ubbidire al suo nuovo co­mandante, badando alla caldaia che alimenta il sistema di riscal­damento che intiepidisce le celle dei nuovi "compagni" di viag­gio, che navigano a vista nella morsa del gelo polare…

Qui, fa una nuova esperienza di vita, sperimenta un singolare paradosso: alimentando un fuoco materiale tenta di spegnere un altro "fuoco" che, pure, non pare attenuare le sue vampe interio­ri nemmeno quando cammina, affondando nella neve, soffiando geli­da la tramontana, immergendosi, sino alla cintola, nel mare glaciale…