Contrariamente a quanto si è comunemente affermato, il suo libro sul terremoto del 1908 non è il frutto di un viaggio sui luoghi del disastro. Pubblichiamo la relazione proposta ad un recente convegno di studi dalla docente universitaria Aleksandra Parysiewicz che analizza e spiega le ragioni di una credenza che ha ingannato studiosi italiani e russi.
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Oggi vorrei approfondire l’ipotesi della mancata presenza dello scrittore russo Maksim Gor’kij a Messina, autore del libro dal titolo Terremoto in Calabria e Sicilia, terminato appena 28 giorni dopo la catastrofe.
Per quasi 100 anni si è dato per scontato che gli effetti della tragedia descritti da Gor’kij fossero il frutto della sua presenza fisica nelle zone terremotate (anche se c’è qualche eccezione, come p.e. Salvo Di Matteo, che nella sua opera in 4 volumi Viaggiatori stranieri in Sicilia, non ha inserito il nome di Gor’kij) e della sua testimonianza diretta. Invece, durante la presentazione del libro dello scrittore russo, avvenuta il 2 marzo 2007, Giuseppe Iannello ha affermato pubblicamente il contrario, cioè che «Gor’kij non fu mai a Messina». E proprio dall’intento di approfondire quell’affermazione è scaturita la mia ricerca.
“Probabilmente l’elogio più bello che sia stato intessuto” nei confronti dei marinai russi: così vengono definiti questi versi di Tommaso Cannizzaro in un’antologia lirica di imminente pubblicazione a cura di Felice Irrera per i tipi Intilla. Il sonetto come tutte le altre liriche della silloge sono tratte da “Grido delle coscienze”, un volume di poesie pubblicato dal poeta messinese nel 1910 e da egli dedicato “Ai morti, ai superstiti / de le città distrutte / ai colpevoli / del loro funesto abbandono / ai generosi / cui pietà profonda / spinse al pronto soccorso”. Come si può immediatamente cogliere dalla dedica, anche Cannizzaro non tacque sulla colpevole inefficienza delle autorità italiane, alla quale contrappose lo slancio dei soccorsi che giungevano da lontano.