Messina raccontata da un Nobel : il suo discorso 'In memoriam' della città distrutta che lo ospitò negli anni della sua più importante ricerca.
Dieci giorni dopo il terremoto del 1908 lo scienziato russo Il'ja Metchnicov pronuncia a Parigi un discorso in memoriam ricordando i suoi molteplici soggiorni nella città. Lo pubblichiamo per la prima volta in italiano e in versione integrale.
Il mio soggiorno a Messina
Dai ricordi dei tempi andati
Quando i giornali sono usciti con questi titoli: "La morte di Messina", "Messina completamente distrutta" e altri simili, si poteva pensare che le notizie fossero state volutamente esagerate per suscitare più interesse nel pubblico dei lettori. Ma anche dopo l'arrivo di testimonianze più dettagliate, la realtà si è rivelata terrificante. Una moltitudine di case è stata distrutta dal terremoto e dal maremoto che ne è seguito. Il disastro è stato aggravato ulteriormente dalle conseguenze degli incendi, sviluppatisi in molte parti della città a causa della rottura dei tubi del gas e dei gassometri. Il numero delle vittime ancora non è stato definito con precisione, ma anche se dovesse rimanere al di sotto delle 100.000 annunciate dai giornali, esso sarà in ogni caso molto elevato. Fin da adesso si può dire che il profilo di Messina è sostanzialmente mutato e che la catastrofe di oggi è stata più terribile di tutti i terremoti precedentemente avvenuti in Sicilia.
Dopo la morte di una persona cara si sente l'esigenza di parlare del defunto, di ricordare i tratti del suo viso e del suo carattere, fin nei particolari. Oggi è lo stesso. La catastrofe che ha colpito Messina produce la medesima sensazione di aver perso un amico caro, e spontaneamente si impongono alla mia mente i ricordi dei periodi ivi trascorsi. I ripetuti soggiorni a Messina hanno lasciato tracce profonde, e pertanto oltre ai sentimenti di pietà che tutti proviamo, dentro di me ve n'è un altro che si fa sentire, particolare, personale.
Messina l'ho conosciuta più di quarant'anni fa. Da tempo era il posto preferito dai naturalisti che si interessavano alla vita dei microrganismi marini. Ed anch'io vi arrivai a questo scopo. La prima volta mi attirò laggiù il mio indimenticabile compagno e amico A.O. Kovalevskij, che vi era giunto nella primavera del 1868. Nelle sue lettere mi descrisse con tale entusiasmo la ricchezza della fauna marina messinese e con tale insistenza volle che andassi a trovarlo che, senza pensarci troppo, lasciai Napoli e mi imbarcai per Messina.
Dopo una notte di navigazione, il mattino presto il nostro piroscafo approdò nel porto di Messina. Circondata da pittoresche colline, la città si estendeva a semicerchio lungo lo Stretto, di fronte alla costa calabra e alla non grande città di Reggio.
Spesso si parla del fascino di Messina e dei suoi stupendi palazzi sul lungomare. In modo particolare ora, quando una grossa parte della città ha subito gli effetti del terremoto, descrivono la sua bellezza con particolare entusiasmo. In realtà Messina era molto lontana dall'essere una bella città. Quando vi giungevi dal mare più di tutto ti colpiva il lungomare sporco, ingombro di merci, tra le quali il primo posto spettava alle cassette di legno con le arance. Gli edifici che si affacciavano sul mare erano anch'essi sporchi e privi di armonia. I piani bassi di quest'ultimi erano occupati in larga parte dagli uffici delle compagnie navali e dalle diverse società commerciali. Sul lungomare si affacciava anche l'albergo "Trinacria" ed alcuni altri meno importanti. In parallelo al lungomare scorreva una strada molto larga, la principale arteria della città, con moltissimi negozi e chioschi. La incrociavano alcune piazze, tra le quali "Piazza dei quattro cavallucci" con le statue dei cavalli poste su alti basamenti.
La villa comunale non era grande, ma bella e dotata di molte piante tipiche del sud. Ricordo in particolare un grosso albero dai fiori rosso purpurei a forma di farfalla, sotto l'ombra del quale mi capitò spesso di sedere e riflettere.
Nel suo complesso Messina non presentava niente di ragguardevole quanto a bellezza, ma in compenso i dintorni erano quanto mai affascinanti: bastava salire su un qualche rilevo per ammirare uno stupendo paesaggio sul mare e sulla Calabria, oppure andare lungo la riva del mare, in direzione del villaggio di Faro, per godersi una natura divina.
Al tempo del mio primo soggiorno a Messina ero molto giovane. Fremevo dall'intenso desiderio di innalzarmi al di sopra del livello prosaico della scienza studiata a scuola. Lavoravo con zelo sulla storia dell'evoluzione dei microrganismi nella speranza di trovare la chiave alla comprensione della genealogia degli esseri viventi. Dopo una giornata trascorsa al microscopio mi incontravo con Kovalevskij per scambiare con lui i risultati raggiunti, discutere e verificare il lavoro l'uno dell'altro. Ma l'intenso uso del microscopio a Messina, col suo sole intenso, presto mi guastò la vista. Ero costretto ad interrompere il lavoro per alcune ore di fila e fu in queste circostanze che mi recavo alla villa comunale, dove mi abbandonavo al dolore per l'impossibilità di continuare le attività e contemporaneamente mi lasciavo andare ai sogni di costruirmi una vita conforme alle mie proprie concezioni teoretiche del mondo. Nonostante gli ostacoli riuscii tuttavia a raggiungere interessanti risultati (particolarmente sulla storia dell'evoluzione degli echinodermi); ciò nondimeno la malattia mi costrinse ad abbandonare Messina e a tornare di nuovo a Napoli. Al fine di fare una pausa nelle ricerche e per evitare il mal di mare, intrapresi il viaggio sulla terraferma, partendo da Reggio. A quei tempi in Calabria non esisteva la ferrovia e mi toccò viaggiare per alcuni giorni con la carrozza postale fino ad Eboli (non lontano da Napoli). Lungo la strada colpivano i numerosi paesi distrutti da un terremoto precedente - paesi posti tra grandi giardini di ulivi e boschi di castagni. I passeggeri della diligenza parlarono tutto il tempo dei briganti calabresi che allora non pochi si potevano trovare lungo il cammino. Una volta, quando la nostra carrozza si impantanò di notte nel fango, si sparse il panico, quasi in attesa dei briganti che - a dire degli altri passeggeri - sarebbero dovuti piombarci addosso da dietro le vicine rovine di un paese distrutto dal terremoto. Con questa prospettiva alcuni viaggiatori nascosero i soldi nelle calze e prepararono le armi. In quell'occasione mi dimostrai più tranquillo di molti compagni di diligenza: non avevo né soldi, né armi. La paura risultò vana e raggiungemmo felicemente la stazione ferroviaria di Eboli.
La seconda volta visitai Messina dodici anni più tardi, ma vi rimasi solo per alcuni giorni al fine di far luce su una questione di cui allora mi occupavo (la storia naturale degli ortonettidi). Trovai Messina nello stesso aspetto di città di porto sporca in mezzo ad una natura stupenda.
Il mio soggiorno più importante a Messina risale agli anni 1882-83. Vi andai a "riposare" dopo essermi dimesso dall'Università di Odessa. Erano già alcuni anni che ero immerso profondamente nello studio dei primi stadi dell'evoluzione animale, non più soltanto con la speranza di trovarvi la chiave alla comprensione della genealogia degli organismi, ma quasi con la certezza del risultato positivo delle mie lunghe ricerche. Tuttavia prima di giungere alle conclusioni, era necessario compiere delle ricerche empiriche di una certa meticolosità. Purtroppo, al raggiungimento di tal fine la vita nelle università russe poneva allora ostacoli insormontabili. Senza parlare dell'insufficiente materiale zoologico di cui anche una città di mare come Odessa poteva disporre, la difficoltà principale consisteva nell'impossibilità di trovare il tempo sufficiente per un tranquillo lavoro scientifico. Da una parte c'erano i professori che avevano troppe cose da fare, erano cioè sempre impegnati nelle selezioni dei docenti, nelle elezioni alle cariche di preside, di rettore e roba simile. A questo scopo nella sala di lettura si riunivano continuamente gruppi per discutere i minimi dettagli della vita universitaria. D'altra parte c'erano gli studenti, che sfruttavano tutte le possibili occasioni per mantenersi sempre in agitazione. Dopo il primo di marzo del 1881 la situazione nell'università si aggravò ulteriormente.
E nello stesso periodo ardevo nel tentativo di trovare una soluzione all'origine del canale intestinale negli animali e a come questo dovesse presentarsi nei nostri antenati. Per trovare un po' di tranquillità nel lavoro, mi sistemai nella stanza più appartata del dipartimento di zoologia, difesa da una lunga fila di scaffali di animali impagliati e altre collezioni. Ed ecco, in quel momento, mentre me ne stavo seduto ad occuparmi della storia dell'evoluzione delle meduse, vennero a trovarmi due professori ammonendomi di partecipare alle lotte universitarie. A malincuore dovetti mettere da parte il microscopio e precipitarmi nel vortice delle assemblee, il che ebbe come risultato la mia richiesta di dimissioni e il conseguente - rapidissimo e senza precedenti nell'ambito dell'amministrazione - licenziamento.
Finalmente libero, il mio primo pensiero fu quello di andare all'estero, in qualche posto dove potessi in tranquillità continuare ad occuparmi del mio lavoro scientifico. Mi sembrava che i problemi genealogici da me posti potessero portare ad interessanti risultati di carattere generale. Per il prosieguo del mio soggiorno sul mare scelsi, per diverse ragioni, Messina, dove mi recai con la famiglia, cioè a dire con la moglie e i fratelli e le sorelle di lei, che erano sotto la mia tutela.
Ma questa volta andammo ad abitare non proprio a Messina, ma nei dintorni, in un posticino chiamato Ringo, proprio sulla riva del mare lungo la strada verso Faro. Affittammo una piccola casetta dalla struttura abbastanza primitiva e prendemmo a nolo della mobilia. Nel "salotto" impiantai il microscopio e tutto quanto occorreva al lavoro. Secondo i costumi siciliani, in questo senso molto simili ai russi, ci toccò prendere a servizio tre persone: una tipica siciliana dalla pelle olivastra, la cameriera Nina, il cuoco Carmelo, miope, e un ragazzo per le commissioni di nome Placido. Tutti loro adempivano ai compiti assegnatogli gesticolando e gridando continuamente e, sebbene non osservassero rigide norme di pulizia, ci accudirono in modo soddisfacente.
Nello splendido scenario dello Stretto di Messina, riposando dalle beghe universitarie, mi diedi con passione al lavoro. Un giorno, quando tutta la famiglia era andata al circo a vedere chissà quali scimmie particolarmente addestrate, io rimasi da solo col mio microscopio ad osservare la vita delle cellule in movimento in una larva trasparente di stella marina, e all'improvviso mi balenò un nuovo pensiero. Mi venne in mente che cellule del genere dovevano svolgere nell'organismo una funzione di contrasto agli agenti nocivi. Percependo che lì si celasse qualcosa di particolarmente interessante, mi agitai a tal punto da cominciare a camminare per la stanza, per poi uscire sulla riva del mare per cercare di mettere ordine nelle idee. Mi dissi: se la mia supposizione è giusta, allora una scheggia posta all'interno della larva della stella marina, che non possiede né sistema vascolare né quello nervoso, dovrebbe essere circondata in breve da un mucchio di cellule mobili che vi si ammasserebbero, nello stesso modo di quanto si può osservare in un uomo che si sia conficcato una scheggia nel dito. Detto, fatto. Nel minuscolo giardino della nostra casa, nel quale alcuni giorni prima i bambini avevano fatto di un alberello di mandarino un albero di natale, tagliai alcune spine di rosa e le misi subito sottopelle nelle larve di stella marina, eccezionali e trasparenti come l'acqua.
Com'è logico tutta la notte mi agitai in attesa del risultato e il giorno seguente, la mattina presto, constatai con gioia la riuscita dell'esperimento. Quest'ultimo costituì la base della "teoria dei fagociti", all'elaborazione della quale ho dedicato gli ultimi 25 anni della mia vita.
Dall'esperimento di base con la scheggia, ne derivarono un'intera serie di conclusioni e mi si aprì davanti una ricca prospettiva di ricerche nel campo della medicina scientifica, che fino ad allora mi era del tutto estranea. Presto condivisi i nuovi risultati e le nuove idee con un professore di zoologia di Messina, il mio grande amico Kleinenberg, il quale aveva per l'appunto una formazione medica. Egli mi incoraggiò molto ai miei inizi e ciò trovò presto conferma in "giudici" particolarmente competenti in materia.
Nella primavera del 1883 il celebre patologo tedesco Virchow giunse a Messina per curarsi la salute nello splendido clima siciliano. Mi incontrai con lui dal professore messinese Weiss (sopravvissuto per fortuna all'ultimo terremoto) e parlai con lui delle mie ricerche e dei miei piani futuri di lavoro nel campo della medicina. Virchow volle vedere i miei esperimenti e venne a trovarci al Ringo. Il suo giudizio fu estremamente favorevole.
In tal modo a Messina si compì una svolta nella mia vita scientifica. Fino ad allora uno zoologo, mi trasformai improvvisamente in un patologo. Avevo imboccato una nuova strada che divenne la principale direttiva della mia attività seguente. Con particolare sentimento ricordo questo tempo passato e con affetto penso a Messina la cui catastrofe mi ha profondamente turbato. Dicono che sia stato deciso di ricostruire Messina nello stesso posto, ma in tutt'altra maniera rispetto a prima. Gli edifici saranno bassi, dislocati su strade ampie e costruiti con materiali particolari. Ci sarà una nuova Messina, non la mia, non quella alla quale sono legati tanti preziosi ricordi.
Dopo la morte di una persona cara si sente l'esigenza di parlare del defunto, di ricordare i tratti del suo viso e del suo carattere, fin nei particolari. Oggi è lo stesso. La catastrofe che ha colpito Messina produce la medesima sensazione di aver perso un amico caro, e spontaneamente si impongono alla mia mente i ricordi dei periodi ivi trascorsi. I ripetuti soggiorni a Messina hanno lasciato tracce profonde, e pertanto oltre ai sentimenti di pietà che tutti proviamo, dentro di me ve n'è un altro che si fa sentire, particolare, personale.
Messina l'ho conosciuta più di quarant'anni fa. Da tempo era il posto preferito dai naturalisti che si interessavano alla vita dei microrganismi marini. Ed anch'io vi arrivai a questo scopo. La prima volta mi attirò laggiù il mio indimenticabile compagno e amico A.O. Kovalevskij, che vi era giunto nella primavera del 1868. Nelle sue lettere mi descrisse con tale entusiasmo la ricchezza della fauna marina messinese e con tale insistenza volle che andassi a trovarlo che, senza pensarci troppo, lasciai Napoli e mi imbarcai per Messina.
Dopo una notte di navigazione, il mattino presto il nostro piroscafo approdò nel porto di Messina. Circondata da pittoresche colline, la città si estendeva a semicerchio lungo lo Stretto, di fronte alla costa calabra e alla non grande città di Reggio.
Spesso si parla del fascino di Messina e dei suoi stupendi palazzi sul lungomare. In modo particolare ora, quando una grossa parte della città ha subito gli effetti del terremoto, descrivono la sua bellezza con particolare entusiasmo. In realtà Messina era molto lontana dall'essere una bella città. Quando vi giungevi dal mare più di tutto ti colpiva il lungomare sporco, ingombro di merci, tra le quali il primo posto spettava alle cassette di legno con le arance. Gli edifici che si affacciavano sul mare erano anch'essi sporchi e privi di armonia. I piani bassi di quest'ultimi erano occupati in larga parte dagli uffici delle compagnie navali e dalle diverse società commerciali. Sul lungomare si affacciava anche l'albergo "Trinacria" ed alcuni altri meno importanti. In parallelo al lungomare scorreva una strada molto larga, la principale arteria della città, con moltissimi negozi e chioschi. La incrociavano alcune piazze, tra le quali "Piazza dei quattro cavallucci" con le statue dei cavalli poste su alti basamenti.
La villa comunale non era grande, ma bella e dotata di molte piante tipiche del sud. Ricordo in particolare un grosso albero dai fiori rosso purpurei a forma di farfalla, sotto l'ombra del quale mi capitò spesso di sedere e riflettere.
Nel suo complesso Messina non presentava niente di ragguardevole quanto a bellezza, ma in compenso i dintorni erano quanto mai affascinanti: bastava salire su un qualche rilevo per ammirare uno stupendo paesaggio sul mare e sulla Calabria, oppure andare lungo la riva del mare, in direzione del villaggio di Faro, per godersi una natura divina.
Al tempo del mio primo soggiorno a Messina ero molto giovane. Fremevo dall'intenso desiderio di innalzarmi al di sopra del livello prosaico della scienza studiata a scuola. Lavoravo con zelo sulla storia dell'evoluzione dei microrganismi nella speranza di trovare la chiave alla comprensione della genealogia degli esseri viventi. Dopo una giornata trascorsa al microscopio mi incontravo con Kovalevskij per scambiare con lui i risultati raggiunti, discutere e verificare il lavoro l'uno dell'altro. Ma l'intenso uso del microscopio a Messina, col suo sole intenso, presto mi guastò la vista. Ero costretto ad interrompere il lavoro per alcune ore di fila e fu in queste circostanze che mi recavo alla villa comunale, dove mi abbandonavo al dolore per l'impossibilità di continuare le attività e contemporaneamente mi lasciavo andare ai sogni di costruirmi una vita conforme alle mie proprie concezioni teoretiche del mondo. Nonostante gli ostacoli riuscii tuttavia a raggiungere interessanti risultati (particolarmente sulla storia dell'evoluzione degli echinodermi); ciò nondimeno la malattia mi costrinse ad abbandonare Messina e a tornare di nuovo a Napoli. Al fine di fare una pausa nelle ricerche e per evitare il mal di mare, intrapresi il viaggio sulla terraferma, partendo da Reggio. A quei tempi in Calabria non esisteva la ferrovia e mi toccò viaggiare per alcuni giorni con la carrozza postale fino ad Eboli (non lontano da Napoli). Lungo la strada colpivano i numerosi paesi distrutti da un terremoto precedente - paesi posti tra grandi giardini di ulivi e boschi di castagni. I passeggeri della diligenza parlarono tutto il tempo dei briganti calabresi che allora non pochi si potevano trovare lungo il cammino. Una volta, quando la nostra carrozza si impantanò di notte nel fango, si sparse il panico, quasi in attesa dei briganti che - a dire degli altri passeggeri - sarebbero dovuti piombarci addosso da dietro le vicine rovine di un paese distrutto dal terremoto. Con questa prospettiva alcuni viaggiatori nascosero i soldi nelle calze e prepararono le armi. In quell'occasione mi dimostrai più tranquillo di molti compagni di diligenza: non avevo né soldi, né armi. La paura risultò vana e raggiungemmo felicemente la stazione ferroviaria di Eboli.
La seconda volta visitai Messina dodici anni più tardi, ma vi rimasi solo per alcuni giorni al fine di far luce su una questione di cui allora mi occupavo (la storia naturale degli ortonettidi). Trovai Messina nello stesso aspetto di città di porto sporca in mezzo ad una natura stupenda.
Il mio soggiorno più importante a Messina risale agli anni 1882-83. Vi andai a "riposare" dopo essermi dimesso dall'Università di Odessa. Erano già alcuni anni che ero immerso profondamente nello studio dei primi stadi dell'evoluzione animale, non più soltanto con la speranza di trovarvi la chiave alla comprensione della genealogia degli organismi, ma quasi con la certezza del risultato positivo delle mie lunghe ricerche. Tuttavia prima di giungere alle conclusioni, era necessario compiere delle ricerche empiriche di una certa meticolosità. Purtroppo, al raggiungimento di tal fine la vita nelle università russe poneva allora ostacoli insormontabili. Senza parlare dell'insufficiente materiale zoologico di cui anche una città di mare come Odessa poteva disporre, la difficoltà principale consisteva nell'impossibilità di trovare il tempo sufficiente per un tranquillo lavoro scientifico. Da una parte c'erano i professori che avevano troppe cose da fare, erano cioè sempre impegnati nelle selezioni dei docenti, nelle elezioni alle cariche di preside, di rettore e roba simile. A questo scopo nella sala di lettura si riunivano continuamente gruppi per discutere i minimi dettagli della vita universitaria. D'altra parte c'erano gli studenti, che sfruttavano tutte le possibili occasioni per mantenersi sempre in agitazione. Dopo il primo di marzo del 1881 la situazione nell'università si aggravò ulteriormente.
E nello stesso periodo ardevo nel tentativo di trovare una soluzione all'origine del canale intestinale negli animali e a come questo dovesse presentarsi nei nostri antenati. Per trovare un po' di tranquillità nel lavoro, mi sistemai nella stanza più appartata del dipartimento di zoologia, difesa da una lunga fila di scaffali di animali impagliati e altre collezioni. Ed ecco, in quel momento, mentre me ne stavo seduto ad occuparmi della storia dell'evoluzione delle meduse, vennero a trovarmi due professori ammonendomi di partecipare alle lotte universitarie. A malincuore dovetti mettere da parte il microscopio e precipitarmi nel vortice delle assemblee, il che ebbe come risultato la mia richiesta di dimissioni e il conseguente - rapidissimo e senza precedenti nell'ambito dell'amministrazione - licenziamento.
Finalmente libero, il mio primo pensiero fu quello di andare all'estero, in qualche posto dove potessi in tranquillità continuare ad occuparmi del mio lavoro scientifico. Mi sembrava che i problemi genealogici da me posti potessero portare ad interessanti risultati di carattere generale. Per il prosieguo del mio soggiorno sul mare scelsi, per diverse ragioni, Messina, dove mi recai con la famiglia, cioè a dire con la moglie e i fratelli e le sorelle di lei, che erano sotto la mia tutela.
Ma questa volta andammo ad abitare non proprio a Messina, ma nei dintorni, in un posticino chiamato Ringo, proprio sulla riva del mare lungo la strada verso Faro. Affittammo una piccola casetta dalla struttura abbastanza primitiva e prendemmo a nolo della mobilia. Nel "salotto" impiantai il microscopio e tutto quanto occorreva al lavoro. Secondo i costumi siciliani, in questo senso molto simili ai russi, ci toccò prendere a servizio tre persone: una tipica siciliana dalla pelle olivastra, la cameriera Nina, il cuoco Carmelo, miope, e un ragazzo per le commissioni di nome Placido. Tutti loro adempivano ai compiti assegnatogli gesticolando e gridando continuamente e, sebbene non osservassero rigide norme di pulizia, ci accudirono in modo soddisfacente.
Nello splendido scenario dello Stretto di Messina, riposando dalle beghe universitarie, mi diedi con passione al lavoro. Un giorno, quando tutta la famiglia era andata al circo a vedere chissà quali scimmie particolarmente addestrate, io rimasi da solo col mio microscopio ad osservare la vita delle cellule in movimento in una larva trasparente di stella marina, e all'improvviso mi balenò un nuovo pensiero. Mi venne in mente che cellule del genere dovevano svolgere nell'organismo una funzione di contrasto agli agenti nocivi. Percependo che lì si celasse qualcosa di particolarmente interessante, mi agitai a tal punto da cominciare a camminare per la stanza, per poi uscire sulla riva del mare per cercare di mettere ordine nelle idee. Mi dissi: se la mia supposizione è giusta, allora una scheggia posta all'interno della larva della stella marina, che non possiede né sistema vascolare né quello nervoso, dovrebbe essere circondata in breve da un mucchio di cellule mobili che vi si ammasserebbero, nello stesso modo di quanto si può osservare in un uomo che si sia conficcato una scheggia nel dito. Detto, fatto. Nel minuscolo giardino della nostra casa, nel quale alcuni giorni prima i bambini avevano fatto di un alberello di mandarino un albero di natale, tagliai alcune spine di rosa e le misi subito sottopelle nelle larve di stella marina, eccezionali e trasparenti come l'acqua.
Com'è logico tutta la notte mi agitai in attesa del risultato e il giorno seguente, la mattina presto, constatai con gioia la riuscita dell'esperimento. Quest'ultimo costituì la base della "teoria dei fagociti", all'elaborazione della quale ho dedicato gli ultimi 25 anni della mia vita.
Dall'esperimento di base con la scheggia, ne derivarono un'intera serie di conclusioni e mi si aprì davanti una ricca prospettiva di ricerche nel campo della medicina scientifica, che fino ad allora mi era del tutto estranea. Presto condivisi i nuovi risultati e le nuove idee con un professore di zoologia di Messina, il mio grande amico Kleinenberg, il quale aveva per l'appunto una formazione medica. Egli mi incoraggiò molto ai miei inizi e ciò trovò presto conferma in "giudici" particolarmente competenti in materia.
Nella primavera del 1883 il celebre patologo tedesco Virchow giunse a Messina per curarsi la salute nello splendido clima siciliano. Mi incontrai con lui dal professore messinese Weiss (sopravvissuto per fortuna all'ultimo terremoto) e parlai con lui delle mie ricerche e dei miei piani futuri di lavoro nel campo della medicina. Virchow volle vedere i miei esperimenti e venne a trovarci al Ringo. Il suo giudizio fu estremamente favorevole.
In tal modo a Messina si compì una svolta nella mia vita scientifica. Fino ad allora uno zoologo, mi trasformai improvvisamente in un patologo. Avevo imboccato una nuova strada che divenne la principale direttiva della mia attività seguente. Con particolare sentimento ricordo questo tempo passato e con affetto penso a Messina la cui catastrofe mi ha profondamente turbato. Dicono che sia stato deciso di ricostruire Messina nello stesso posto, ma in tutt'altra maniera rispetto a prima. Gli edifici saranno bassi, dislocati su strade ampie e costruiti con materiali particolari. Ci sarà una nuova Messina, non la mia, non quella alla quale sono legati tanti preziosi ricordi.
Parigi, 7 gennaio 1909
Il. Metchnikov
[traduzione dal russo di Giuseppe Iannello]