di Michail E. Saltykov-Ščedrin (1826-1889)
traduzione dal russo di Demetrio Nunnari

 

Vissero, un tempo, due generali così avventati che, ben presto – per il sortilegio di un magico luccio1 - ebber la ventura di trovarsi su di un’isola deserta.

Avevano, costoro, prestato servizio per una vita intera presso di un qualche ufficio; là erano nati, là eran cresciuti e invecchiati e, per conseguenza, null’altro sapevano del mondo. E, per di più, non conoscevano altre parole che «rispetto» e «devozione».

Venne, però, il tempo che chiusero l’ufficio per esubero e misero i generali in congedo. Abbandonati dallo Stato, si stabilirono, i due, a Pietroburgo, sulla Pod’jačeskaja, in alloggi differenti; e avevano ciascuno la sua cuoca e una pensione. Solo che, d’un tratto, si ritrovarono su di un’isola deserta. Si svegliarono sgranando gli occhi: erano tutti e due sotto la coperta. Beninteso, all’inizio non capirono, e cominciarono così a chiacchierare come se nulla fosse avvenuto.

- Ho fatto, Vostra Eccellenza2, un sogno strano, - disse uno, - come se mi trovassi su di un’isola disabitata…

E così dicendo subito zompò in piedi! E zompò anche l’altro.

- Ossignore! che diamine…! dove siamo? gridò quegli con voce roca.

E se ne stavano a toccarsi l’un con l’altro per vedere che non fosse stato un sogno, o se questa cosa stesse succedendo per davvero. Tuttavia, come non si erano sforzati di dimostrare a se stessi che il tutto non era niente più che un sogno, così dovettero rassegnarsi alla triste realtà.

Davanti a loro, da una parte si estendeva il mare, e dall’altra un piccolo ciuffo di terra dietro al quale tutto quel mare infinito si allargava. E per la prima volta, da quando avevano chiuso quell’ufficio, i due generali attaccarono a frignare.

Si guardavano a vicenda, quando si accorsero di essere in camicia da notte e di portare appesi al collo i nastrini e le medaglie.

- Qui ci vorrebbe proprio un bel caffettino! - fece uno, ma rammentò che qualcosa di inaudito gli stava succedendo, e di nuovo pianse a catinelle.

- Che fare, dunque? – continuò fra le lacrime. – Anche se scrivessimo un rapporto sull’attuale situazione, che vantaggio si potrebbe averne?

- Ecco che si fa, - rispose l’altro generale, - Voi, Vostra Eccellenza, prendete verso oriente, ed io me ne vo verso occidente; a sera c’incontriamo in questo stesso posto e può darsi che – così  –  qualcosa la si trovi pure.

Si diedero da fare per trovare l’est e l’ovest. Rammentarono come un loro superiore disse un giorno: «se vuoi trovar l’oriente, volgi allora lo sguardo a nord, ed avrai alla tua destra quel che desideri». Attaccarono a cercare il nord mettendosi così e cosà; provarono tutti i punti cardinali ma, poiché in tutta la loro vita eran sempre stati dentro ad un ufficio, non riuscirono a combinare nulla.

- Ecco che si fa, Vostra Eccellenza: voi andate a destra, e io me ne vo verso sinistra; e sì che sarà meglio! - fece uno dei generali, che, oltre che in ufficio, aveva insegnato bella scrittura in una scuola per cantonisti3, e per cui era più colto.

Detto – fatto! Se ne andò, uno dei due, verso destra e vide tanti alberi e, sugli alberi, dei frutti. Prova, quantomeno, a cogliere una mela; ma quelle stanno appese così in alto che bisogna arrampicarsi.

E provò ad arrampicarsi, ma non ne cavò nulla se non una camicia strappata. Giunse, così, a un ruscelletto, e lì ti vede4 un pesce – proprio come ai giardinetti della Fontanka5 – e, oltre a quello, pesci e pesci a volontà.

«Ah, se simili pesciolini nuotassero sulla Pod’jačeskaja!» - pensò il generale, sbiancandosi persino in volto dall’appetito.

E giunse, allora, nel bosco – dove fischiano i francolini, cantano gli urogalli e corrono le lepri.

- Ossignore! cibo! cibo! – disse il generale, sentendosi venire già la nausea dal gran mangiare.

Non essendoci però nulla da fare, dovette ritornarsene al posto convenuto a mani vuote.

E quando arriva, l’altro è già lì che aspetta.

- Ebbene, Vostra eccellenza, avete cacciato qualcosa?

- Sì, soltanto un vecchio numero del «Moskovskie vedomosti»6 e nulla più.

I generali se ne andarono di nuovo a dormire ma, digiuni com’erano, non riuscirono a prender sonno.

Li affligge il pensiero della pensione da riscuotere e – assieme a quello – la viva immagine dei frutti, pesci, francolini, urogalli e lepri di quel giorno.

- E chi poteva immaginare, Vostra Eccellenza, che allo stato naturale il cibo degli uomini volasse, nuotasse e crescesse sugli alberi? – disse uno dei due.

- Ebbene – rispose l’altro – devo confessare che, fino ad oggi, ho sempre creduto che i panini crescessero allo stesso modo, quando me li servivano col caffè.

- Dunque, se - per esempio - uno vuole mangiarsi una pernice, deve prima acchiapparla, poi ucciderla, spennarla, cuocersela…….Solo, come fare tutto ciò?

- Come fare? – fece a mo’ di eco l’altro generale.

S’azzittirono e cominciarono a sforzarsi di dormire, ma la fame puntualmente scacciava il sonno. Francolini, tacchine, porcellini sfilavano rapidamente davanti agli occhi; succulenti, appena rosolati, guarniti di cetrioli, sottaceti e altre verdure.

- Adesso, mangerei persino i miei stessi stivali – disse l’uno.

- Anche i guanti diventano buoni, se indossati a lungo – sospirò l’altro.

Improvvisamente, entrambi i generali si guardarono a vicenda: nei loro occhi luceva un sinistro fuocherello, battevano i denti, e dal petto promanava un sordo ringhiare. Lentamente iniziarono a strisciare l’uno verso l’altro e, in un attimo, s’azzuffarono. Volavano brandelli, lamenti echeggiavano; quello ch’era stato docente di calligrafia morse la decorazione del compagno e, in un batter d’occhio, l’inghiottì. Ma la vista del sangue che sgorgava parve rinsavirli tutti e due.

Eh, che diamine! – dissero all’unisono – Ci manca pure che ci si mangi l’un con l’altro!

-   E come siamo capitati fin qua? Chi è quel malfattore che ci ha giocato un così brutto tiro?

- Bisogna, Vostra Eccellenza, distrarsi con qualche conversazione, altrimenti finiremo con l’ammazzarci! – biascicò il primo.

-  Iniziate! – rispose l’altro.

- Per esempio, cosa ne pensate del fatto che il sole prima sorge e poi tramonta, e non il contrario?

- Siete uno strano individuo, Vostra Eccellenza; non è che pure Voi prima vi alzate, vi recate al Dipartimento, poi vi mettete a scrivere, e infine ve ne andate a dormire?

- E perché non un altro ordine? Innanzitutto vado a coricarmi, faccio tanti sogni, e poi mi alzo.

- Hmm…sì…Ma, francamente, fin quando ho prestato servizio l’ho sempre pensata così: prima viene il mattino, poi il giorno, dopodiché ti servono la cena, e dopo tutti a nanna!

Ma soltanto il far menzione della cena li rendeva malinconici tutti e due, e faceva languire nuovamente il discorso.

- Ho sentito da un dottore che l’uomo può nutrirsi a lungo dei propri liquidi, - ricominciò un generale.

-   Cooome…?

-   Proprio così. Pare che i nostri liquidi ne producano degli altri, e quelli, a loro volta, altri ancora, e così via; tanto che, alla fine, non sembrano finir mai…

-   E allora, che si fa?

-   Allora si deve proprio mangiar qualcosa…

-   Pffuuu….!

-   A farla breve, qualunque fosse l’argomento del conversare dei generali, esso riconduceva sempre al pensiero del cibo, il che stuzzicava ancor di più l’appetito. Al fine si decisero: la piantarono coi discorsi, e ricordando l’ultimo numero del «Moskovskich vedomostej», presero avidamente a leggerlo.

«Ieri, - lesse l’uno con voce agitata, - lo spettabile primo cittadino della nostra antica città ha offerto una cena di gran gala. Un centinaio di persone sono state servite in pompa magna. Doni da ogni parte del mondo son giunti, come a un rendez vous, a questa fantastica occorrenza. Lo sterleto dorato7, il figlio adottivo dei boschi8, il fagiano e, molto rare qui al nord nel mese di febbraio, le fragole selvatiche…»

-   Per Dio! E’ mai possibile che Vostra Eccellenza non riesca a passare ad un altro argomento? – esclamò l’altro disperato e, prendendo il giornale, proseguì:

«Da Tula9 scrivono: ieri, in occasione della cattura degli storioni sul fiume Upa10 (avvenimento che neanche quelli del posto ricordano, tanto più che in uno storione è stato riconosciuto un certo B., commissario di polizia11), s’è fatta bisboccia in un club locale. Il festeggiato è stato portato su di un gigantesca vivandiera in legno, guarnito di cetriolini e con in bocca un ciuffo di verdure. Il dottor P., per tutto il dì di guardia, sorvegliava con diligenza affinché tutti gli ospiti ne avessero un pezzetto. Le salse erano delle più varie e stravaganti…»

- Perdonatemi, Vostra Eccellenza, ma può darsi che Voi non siate troppo accorto nella scelta delle letture! – l’interruppe il primo generale e, prendendo a sua volta il giornale, continuò:

«Scrivono da Vjatka12: uno degli abitanti del posto ha escogitato un modo originale di cucinare la zuppa di pesce; presa una bottatrice13 viva, giù subito frustate da orbi, finché il fegato non le si ingrossa dalla bile… »

I generali chinarono il capo. Tutto ciò su cui posavano lo sguardo rievocava l’idea del cibo. I loro stessi pensieri covavano criminosi disegni, poiché, come non si erano sforzati di evitare d’immaginarsi delle bistecche, quelle immagini si aprivano violentemente un varco nelle loro menti.

E, all’improvviso, il generale ch’era stato insegnante di calligrafia, si rischiarò il fiato…

-  E se, Vostra Eccellenza, - disse gioioso – c’imbattessimo in un contadino?

-  Come…un contadino?

- Ma sì, proprio un contadino…come di solito ce ne stanno in giro! Verrebbe qui a procurarci un tozzo di pane, e francolini, e pesci!

- Mmm…un contadino…e dove lo prendi, questo contadino, se non ce n’è?

- Come, no? il contadino è dappertutto, si deve solo cercarlo! Probabilmente si nasconde da qualche parte, tentando di scansare il lavoro!

Il solo pensiero sollevò il morale dei generali al punto tale che saltaron su come folgorati, e si misero di buzzo buono a cercare il contadino.

Vagarono a lungo per l’isola senza alcun successo, ma, alla fine, un forte odore di pane soffice e pelle putrescente di pecora giunse sulle loro orme. Sotto l’albero, sdraiato a pancia in su e con i pugni sotto la testa, dormiva l’omone più imponente mai visto, e nella maniera più sfacciata si sottraeva al lavoro. L’indignazione dei generali era senza limiti.

- Muoviti, fannullone! – gli zomparono addosso. – Forse non vedi che da ventiquattrore due generali stanno morendo di fame? Al lavoro…maaarch!

Si alzò l’omone e, nel vedere i generali così severi, pensò di darsi alla fuga; ma quelli erano così stravolti che si aggrapparono a lui.

E così cominciò a darsi da fare lì davanti.

Per prima cosa, si arrampicò sull’albero e colse loro una decina delle mele più mature, tenendone per sé una acerba. Poi scavò in terra, estraendone una patata; prese, dunque, due pezzi di legno, li strofinò l’un con l’altro e ne ricavò un fuoco. E con i propri capelli fece un laccio e catturò un francolino. Infine, ravvivò il fuoco e vi cucinò così tante provviste che ai due generali venne persino un pensiero in testa: si doveva dar qualcosa anche al parassita?

Osservavano – i generali – gli sforzi dell’omone, e in cuor loro cantavano di gioia. Avevano di già dimenticato che solo il giorno prima quasi morivano di fame, e pensavano: ecco che c’è di buono ad esser generali; non si rischia di schiattare da nessuna parte.

- Soddisfatti, signori generali? – chiese, nel frattempo, l’omone-fannullone.

- Soddisfatti, caro amico, vediamo il tuo impegno! – risposero quelli.

- Che ne direste di riposare, adesso?

- Riposati, caro, solo, dacci prima una cordicella.

E raccolse così, l’omone, della canapa indiana, l’inumidì nell’acqua, la percosse per bene, la pestò e a sera la fune fu pronta. E con essa i generali legarono l’omone ad un albero, affinché non fuggisse, e se andarono a dormire.

Trascorse un giorno, e un altro ancora; finché l’omone fu così abile da preparare la zuppa nella giumella. Si eran fatti, i generali, allegri, flosci, satolli e candidi. Poteva dirsi che quasi vivessero di rendita, mentre a Pietroburgo, nel frattempo, s’accumulavano le pensioni.

- Ma Voi pensate, Vostra Eccellenza, che sul serio ci sia stata Babilonia, o che non sia  soltanto un’allegoria?

- Ritengo, Vostra Eccellenza, che sia esistita, poiché non si spiegherebbe altrimenti la presenza di molte lingue.

-  D’accordo, e il Diluvio?

- Ci fu anche quello, poiché in questo caso come potrebbe esser spiegata l’esistenza di bestie antidiluviane? Tanto più, che sul «Moskovskie vedomosti» affermano che….

- Allora, perché non leggere il «Moskovskie vedomosti»?

Cercano il numero, si siedono all’ombra e leggono dalla A alla Z; come si mangia a Mosca, a Tula, Penza e Rjazan’, senza mai nausearsi.

Alla fin fine, però, i generali s’annoiarono. Sempre più spesso tornavano a ricordare i nomi delle cuoche lasciate a Pietroburgo e, di sottecchi, s’abbandonavano al pianto.

- Chissà cosa faranno a quest’ora sulla Pod’jačeskaja, Vostra Eccellenza? – chiese un generale all’altro.

- Smettetela di parlare, Vostra Eccellenza! Mi piange il cuore! – fece quello.

- Si sta bene qui, tutto sommato; non c’è che dire! Però, sapete, è un po’ come un agnello…senza pecorella! E spiace anche per le uniformi!

Eccome! Soprattutto per quelle della quarta classe, basta vedere com’erano cucite per farti girar la testa.

E incominciarono a punzecchiare il contadino, fantasticando senza posa di stare sulla Pod’jačeskaja! E che! Pare quasi che finanche il contadino conosca la Pod ’jačeskaja, che a bere l’idromele ci sia stato, per i baffi giù gli sia colato e a bocca asciutta sia restato!

-         Ma…siamo sulla Pod’jačeskaja – si rallegrarono i generali.

-         Anch’io, vedete? C’è un uomo fuori casa, sull’impalcatura, e dà una mano di vernice alla parete; e poi se ne sta a girare in tondo come una mosca – ma…sono proprio io! - rispose il contadino.

E il contadino cominciò a riflettere su come accontentare i suoi generali, visto che avevano graziato lo scroccone qual era, senza disdegnarne le fatiche di mezzadro! E costruì una barca che però barca non era, ma una tale bagnarola che ci si poteva attraversare l’oceano giusto sino alla Pod’jačeskaja.

- Bada, però, canaglia a non affogarci! – dissero i generali a veder quella beccheggiare sulle onde.

- Tranquilli, signori generali, non è la prima volta! – rispose il contadino preparandosi alla partenza.

Raccolse delle soffici piume di cigno adagiandole sul fondo. Fatto ciò, fece sdraiare i generali sulla chiglia e, segnandosi, iniziò a navigare.

Quanto, durante il viaggio, i generali si prendesser di paura per la tempesta e le ventate, quanto inveissero contro il contadino mangiaufo, non può la penna dire o la fiaba raccontare. E  quello ancora seguita a remare, dando loro aringhe da mangiare.

Ed ecco, infine, la Nevà , e il famoso canale Ekaterinskij, e la grande via Pod’jačeskaja! Le cuoche giunsero le mani stupefatte vedendo i generali ben nutriti, candidi ed allegri!

Bevvero, i generali, del caffè, mangiarono brioche e indossarono le uniformi. Si recarono, poi, in Tesoreria e quanto avessero accumulato non può la fiaba raccontare né la penna dire!

Tuttavia, del contadino non si scordarono; gli mandarono un bicchier di vino e cinque copechi d’argento: tienti allegro, contadino!

 

 


 


1 Nella fiaba russa, il luccio magico sostituisce la figura (di derivazione mediorientale) del genio prigioniero di una lampada che, liberato dal suo benefattore, concede a questi l’opportunità di esaudire tre suoi desideri. In tal caso il primo dei desideri espressi dai graduati (e ad essi fatale) è quello di esser trasportati in un luogo fuori dal mondo, ove godere i frutti di tanto lavoro.

2 Vaše Prevoschoditel’stvo, «Vostra Eccellenza», era il titolo di reverenza che consentiva di rivolgersi ad un generale secondo le rigide norme comportamentali dettate dalla «tabella dei ranghi», introdotta dallo Zar Pietro I in Russia nel lontano 1722. In base a questa, i vari gradi del generalato russo corrispondevano alla terza e quarta classe nobiliari di Consigliere segreto, Consigliere di Stato effettivo e Consigliere di Stato, ed era dunque necessario appellarvisi con il dovuto rispetto (la tabella prevedeva complessivamente quattordici classi).

3 Accademia riservata, durante il primo Ottocento, ai giovani appartenenti ai quadri militari più bassi.

4 La giustapposizione di forme verbali volte ora al presente ora al passato, poco elegante dal punto di vista della concordanza sintattica della frase, è peculiare della fiaba di ogni tempo e luogo. Riecheggia difatti i caratteristici modi espressivi della lingua degli ambienti rurali, presso i quali a lungo la fiaba si è tramandata oralmente. Risponde a precise esigenze di controllo del linguaggio del bambino (suo destinatario di privilegio) che, spesso ancora all’inizio dell’età scolare, dispone di un lessico alquanto limitato. Realizza inoltre una funzione psicologica inusitata: l’uso di verbi volti al presente dà al bimbo la sensazione che ciò a cui assiste sta accadendo proprio «ora», e lo riguarda, dunque, in maniera diretta. Forme verbali ricorrenti al passato lo tranquillizzano invece sul fatto che le scene cruente (molto diffuse nella fiaba) e le creature fantastiche che si prospetteranno ai suoi occhi (draghi, gnomi, streghe e orchi cattivi) appartengono, certo, a tempi lontanissimi; tali da non costituire minaccia né per se stesso né per i suoi affetti più intimi (i genitori, i piccoli amici). A questo serve, in sintesi, il «c’era una volta» di tutte le fiabe del mondo: storicamente non contestualizzato, consente al piccolo lettore di collocare tutto quel che vi afferisce in ere tanto remote quanto più desidera, per trarne un monito e non esserne turbato al tempo stesso.

5 Fontanka è il nome del giardino estivo fatto costruire dallo Zar Pietro I alla periferia di San Pietroburgo presso l’omonimo fiume da cui prende il nome. In russo fontanka sta per «fontanella», con riferimento ai giochi d’acqua del suddetto giardino.

6 «Moskovskie vedomosti» [L’elenco moscovita]; storico giornale russo.

7 Specie di piccolo storione.

8 Il cervo.

9Antica città della Russia centrale, capoluogo della regione omonima e situata sul fiume Oka

10 Affluente del fiume Oka.

11 Si allude qui, ironicamente, alla «cultura del sospetto» che da sempre minò la vita sociale russa, ma che s’inasprì anche durante il regno dello Zar Alessandro II: questi, varato in un primo tempo un vasto programma di riforme, deluse in seguito le aspettative del popolo. Salito al trono nel 1855, fu assassinato nel 1881.

12 Località sita sull’omonimo fiume.

13 Pesce dal corpo allungato, coperto di squame e fornito di due pinne dorsali, di cui una molto lunga.


Michail E. Saltykov-Ščedrin (1826-1889) fu scrittore contemporaneo di F. M. Dostoevskij (1821-1881) e L. N. Tolstoj (1828-1910) e maestro del realismo grottesco.
I signori Golovlëv [Gospoda Golovlëvy, 1880] è il suo romanzo-capolavoro: vi si dà la descrizione forte di una Russia tardottocentesca allo sbando che – abbrutita da portati culturali ancora di tipo medioevale – vive la realtà in una prospettiva assurdamente demoniaca. Agli anni sessanta di quel secolo appartiene la silloge dei Racconti innocenti [Nevinnye rasskazy], in cui, con penna sferzante, l’Autore mette a nudo i sintomi della malattia dell’uomo russo del suo tempo. In Italia, tali preziose miniature sono state tradotte solo in parte dallo studioso E. Lo Gatto (1890-1983), e pubblicate dalla Casini Editrice (1961; non più in commercio) e dalla Passigli (1992). In prima traduzione italiana propongo, dunque, uno di quegli “schizzi”. La fonte di riferimento è Gibian G. – Samilov M. (a cura di), Modern Russian Short Stories, Harper & Row, New York 1965. Per l’integrale delle opere dell’Autore si consulti invece Saltykov-Ščedrin M. E., Sobranie sočinenij v dvadcati tomach [Opere in venti volumi], cur. A. S. Bušmin - V. Ja. Kirpotin - S. A. Makašin - E. I. Pokusaev - K. I. Tjun’kin, Chudožestvennaja literatura, Moskva 1965-77.