
Ora che l'ultimo capo dell'ex-Partito Comunista di Mosca è stato seppellito nel cimitero del Monastero delle Nuove Vergini, dove hanno trovato posto i Grandi Russi di tutti i tempi, si possono leggere, sulla stampa russa e internazionale, insieme agli elogi, ai rimpianti, alle belle parole e ai discorsi commemorativi che hanno accompagnato Corvo Bianco nell'ultimo viaggio, le prime note critiche, a volte dure a volte sferzanti che non trovavano ascolto in Russia dal giorno della sua uscita dal Cremlino per l'esilio dorato in cui è vissuto.
Eltsin: il primo.
Eltsin: il primo.
Il primo è la parola più usata nel giornalismo e in politica per interpretare il ruolo avuto da Eltsin nella fase di transizione dalla Unione Sovietica alla Russia. Questa parola si ritrova copiosa su tutti i mezzi d'informazione; articoli, riflessioni, discorsi ufficiali e obliqui. Spesse volte è utilizzata per nascondere un vuoto di comprensione della realtà , vasta e diversificata dello spazio ex-sovietico, poche volte per lucide riflessioni.

Il primo, campione della democrazia, l'uomo che ha restituito la libertà ai popoli e alle nazioni dell'ex-Unione Sovietica. L'elenco delle virtù e dei meriti è lungo, sfacciatamente lusinghiero e inequivocabilmente di maniera con il quale si sostiene un solo punto di vista - quello di un ceto politico internazionale che con lo scioglimento illegale dell'ex-Unione Sovietica pensa di aver vinto con "la guerra fredda" anche la partita con l'idea di una società fondata non sul profitto ma sull'interesse sociale.
Se il comunismo in Russia avesse fatto la fortuna di qualcuno, quel qualcuno sarebbe stato Boris Nikolaevic Eltsin. Corvo Bianco deve tutto al comunismo, la sua famiglia le immense ricchezze accumulate le deve alla prima politica democratica voluta per sconfiggere la Perestroika di Gorbacev. Un approfondimento a parte meriterebbe come Eltsin ha distrutto lo stato burocratico centralizzato dalle cui ceneri è nato il regime degli oligarchi che per dieci anni ha saccheggiato le ricchezze del popolo russo dilapidandole come non fu possibile neppure agli zar russi.

Corvo Bianco riuscì ad ottenere sempre più potere e ad accrescere il suo prestigio proporzionalmente alla perdita di consensi e di autorevolezza dei membri del Pcus che, con il tentativo folle di esautoramento di Gorbacev, misero in atto il suicidio politico più clamoroso mai tentato da un gruppo dirigente al potere dopo la seconda guerra mondiale.
Lo stile populista di stampo latino americano alla Peron e il sostegno incondizionato dell'occidente, che a Gorbacev sempre venne negato, sono le cifre politiche dell'ascesa di questo russo ai vertici della Federazione Russa. Se è ancora prematuro, come giustamente convergono gli storici, addivenire ad un esame completo del ruolo di Eltsin nel processo di trasformazione della Russia, fin d'ora si può sostenere che Eltsin è stato l'uomo dell'America, il politico che l'America ha sostenuto con ogni mezzo lecito e illecito (come risulterebbe dalle elezioni del 1996), per distruggere la potenza rivale che impediva all'imperialismo americano di imporre unilateralmente la sua politica nella fase della globalizzazione.

Paradossalmente nel momento più caotico e incerto della Perestroika, al mondo intero fu chiaro che Gorbacev stava facendo terribilmente sul serio. Egli seguiva con convinzione l'idea-forza della riforma socialista della società sovietica. Per aprire la nuova via e affermarla anche nel partito, era disposto a tutto. I fatti epocali della caduta del muro di Berlino e l'indipendenza delle Repubbliche Baltiche lo testimoniarono scioccando il mondo intero. I gruppi dirigenti europei capirono ma non si fidarono. Preferirono il caos al socialismo riformato nella speranza di partecipare al banchetto di risorse e materie prime che il crollo dello stato sovietico avrebbe liberato.
Gli stati europei trovarono più vantaggioso curare i propri particolari interessi e puntarono tutte le loro carte sull'uomo che aveva maturato il progetto più sgangherato e brutale per porre fine all'esperienza dell'URSS.
Maggio 2007
Luigi Novelli