La commemorazione dell’intervento della marina russa
con due anni di anticipo sul centenario
Due anni prima. Anzi quasi tre se si tiene conto che l’anniversario cade a dicembre. Ce lo siamo chiesti in tanti: perché tanta solennità per il 98°? Quel 2006 affiancato al 1908 nei manifesti è apparso a molti stonato. Va da sé che il ringraziamento ai russi ci sta tutto. Anzi è “leggermente” in ritardo e non ancora completo; le nostre istituzioni se ne sono accorte ed hanno promesso che adempiranno alla delibera del primo consiglio comunale post catastrofe del febbraio del 1909: avremo finalmente un monumento dedicato alla straordinaria opera prestata nei soccorsi dai marinai russi.
Mettendo per adesso da parte le ipotesi e le risposte che ci siamo date sul perché della solennizzazione del 98°, ci limitiamo a fare alcune constatazioni.
Le iniziative sono state fortemente volute dal nostro ministro della Difesa Antonio Martino ed hanno avuto in sede di ideazione e realizzazione una direzione, quella dall’alto in basso: il ministero ha contattato i preposti alle nostre istituzioni, Provincia, Comune e Prefettura e questi a loro volta si sono attivati alzando la cornetta del telefono, distribuendo incarichi e compiti. Se questa procedura può funzionare in materia di ordine e cerimoniali, ha dimostrato tutti i suoi limiti nei contenuti e nella sostanza degli eventi. Paradigmatico è stato il convegno di studi organizzato all’Università sui rapporti italo-russi. La buona volontà di qualche docente sul quale è caduta la patata bollente di preparare il tutto nello spazio di qualche settimana, non è stata sufficiente a colmare il deficit di partecipazione dal basso.
E’ così che nel corso di tutta la prima giornata e di quasi tutta la seconda (fino all’arrivo del codazzo dei due ministri della difesa) ad assistere non c’erano che una decina di persone: e si deve ringraziare gli alunni di un liceo della città (dove non a caso si studia il russo) se con la loro presenza ad inizio convegno hanno evitato ai relatori, peraltro di notevole spessore culturale, di parlare immaginando ipotetici ascoltatori sedere nell’elegante aula magna del rettorato.
Chi come noi aveva partecipato, quasi in solitudine, ai lavori del convegno non ha potuto non storcere il muso ascoltando i discorsi finali celebrativi del convegno da parte di persone che non c’erano state e soprattutto davanti all’improvviso comparire di un nuvolo di giornalisti, fotografi e telecamere che obbedienti seguivano i maestri di cerimonia.
I ministri hanno coperto totalmente con la loro presenza molti dei momenti di questi giorni. L’invito era di prassi alla maggior parte degli eventi segnalati nel programma: dall’inaugurazione della mostra in provincia, dalla cerimonia militare al porto, ai concerti. Il primo dei concerti era addirittura riservato alle autorità, nonostante fosse stato segnalato come un semplice concerto bandistico congiunto della Marina italiana e di quella russa. Messina evidentemente è zeppa di autorità per poter riempire agevolmente il teatro Vittorio Emanuele. Non è stato neanche usato un criterio di maggior pertinenza nella scelta degli invitati. A questi riguardo e nel complesso nei confronti dell’intera serie di manifestazioni, sono state molte le lamentele, perfino nella piccola comunità russa messinese e nel cerchio di quelle persone legate in città, per motivi di studio o di interesse culturale, alla Russia: di fatto essi sono stati ignorati, nonostante fosse stata richiesta a parole dagli organizzatori, nei giorni precedenti, la loro presenza. Senza dire dei docenti e dei relatori del convegno di studi, anche loro “dimenticati” in tutte le liste degli invitati.
Un’accoglienza che non vuole essere solo formale deve supportarsi sulla conoscenza reciproca. Politici e governanti accorti non disdegnano il contributo degli studiosi, degli intellettuali ed anche della gente comune che possa aiutarli a comprendere dal di dentro le realtà di cui non hanno sufficiente esperienza diretta. Molti ad esempio sono gli stereotipi che si creano nell’immaginario collettivo nei confronti di altri popoli; in questo senso, ritornando al convegno, è da segnalare l’acuta introduzione del prof. Pasquale Fornaro, che ha parlato in chiave storica di alcuni di questi pregiudizi nei confronti dei russi. Ci ha poi particolarmente colpito quanto ha detto un insegnante della scuola media “Pascoli” che attendeva con la sua classe, il primo giorno, l’arrivo delle navi: «io non sono qui soltanto per ricordare l’impresa dei marinai, ma per salutare i connazionali di quello che io ritengo il maggiore romanziere di tutti i tempi, Fiodor Dostojevskij». Questo piccolo episodio, raccontato ai nostri ospiti russi, ha fatto particolarmente impressione.
La visita alle navi, svoltasi domenica dodici, ha rappresentato una nota diversa rispetto all’ufficialità degli altri appuntamenti: moltissima gente si è recata sulla banchina del porto e non sono mancate le file; un momento vero di incontro con la cittadinanza. Va ancora ricordato l’improvvisato ricevimento a Mandanici di due pullman di marinai russi che vi si erano recati per fare visita al neonato monastero ortodosso. Un’accoglienza strepitosa quella del comune montano, che nello spazio di qualche ora ha messo insieme uno spettacolo, assaggi di ogni tipo e soprattutto ha riempito di doni, con i suoi prodotti locali, i marinai.
Non siamo sicuri che la stessa cosa si possa dire di Messina, che ha curato molto le “autorità” della marina russa e molto meno i marinai (per loro solo visite guidate a Messina e dintorni). Ci piacerebbe essere smentiti su questo. Perché il problema rimane a monte; chi ha organizzato ha pensato in primis (e non avrebbe potuto fare altrimenti perché funzionario) ad adempiere a quanto gli era stato richiesto. La partecipazione della gente era solo funzionale allo spettacolo, quello ideato e promosso dal ministro. Tutti noi messinesi eravamo solo di contorno. Ma abbiamo ancora due anni di tempo per riappropriarci di ricordi e di anniversari. Quello del centenario deve essere il “nostro”.
Da “Centonove” del 17/2/2006
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