Tra gli eredi dell'impero romano d'Oriente si cela la chiave dell'attualità
Spiegare l'attualità al grande pubblico attraverso le vicissitudini dell'impero zarista e dell'impero ottomano. E' questo l'obiettivo dell'ultima opera di Franco Cardini Il Sultano e lo Zar: Due imperi a confronto, edita da Salerno Editrice. Perché scegliere di parlare della contemporaneità attraverso la storia di due imperi la cui esistenza ha avuto il proprio tragico epilogo con il primo conflitto mondiale? La scelta dell'autore non è casuale: l'impero zarista e l'impero ottomano avevano in comune di essersi professati, in un modo o nell'altro, eredi dell'impero romano d'Oriente.
Il primo per diritto di sangue, Ivan III sposò Zoe Paleologa, nipote dell'ultimo imperatore romeo Costantino XI (non la figlia come Cardini erroneamente scrive), il secondo per diritto di conquista. Il conquistatore della Seconda Roma, Maometto II, non mancava di attribuirsi il titolo di Cesare dei Romei e i suoi successori applicavano il diritto romano ai popoli soggiogati, così come le strutture amministrative e fiscali che erano proprie dell'impero d'Oriente. Il sultano turco come erede di Roma non può e non deve cogliere di sorpresa. Che l'impero era guidato da un sultano islamico, che adorava il medesimo Dio dei cristiani e considerava Gesù di Nazareth un grande profeta, può apparire nella storia dell'impero una frattura di portata minore rispetto a quando gli imperatori romani abbracciarono la nuova fede e chiusero i templi pagani. La questione religiosa (e non solo) caratterizzava invece l'altro autoproclamatosi erede, lo zar di Mosca. Questi adottava l'araldica bizantina e assumeva i connotati di un'autocrate che poco si discostava dalla tradizione romea, ma che molto si allontanava da un sovrano della primigenia Rus' di Kiev. Proprio il nipote di Zoe, Ivan IV, sopprimendo il potere dei boiari, riorganizzò l'amministrazione imperiale secondo i principi dello statalismo centralista di Bisanzio, ponendo così le basi della Russia moderna. Non è un caso che la sua figura fu al centro dell'interesse di Stalin... ma questa è un'altra storia.
L'opera di Cardini, partendo da questi presupposti, propone il difficile compito di ripercorrere la storia di due imperi che lottarono nell'arduo tentativo di essere coerenti con una missione universale che ne definisse i propri contorni esistenziali di fronte ai propri sudditi. Proprio in forza di questo mandato, i due imperi assoggettarono e conquistarono quegli spazi geopolitici che da più di un secolo sono al centro delle tensioni internazionali e che Russia e Turchia continuano a contendersi. Questa valutazione spinge Cardini a parlare non di una Prima o di una Seconda guerra mondiale, ma di una Guerra dei Cento Anni che si protrae ininterrottamente dal secolo scorso e che ancora non ha avuto una sua conclusione. Ne consegue una fittissima trama che corre lungo i Balcani, passando per il Medio Oriente, l'Asia Centrale arrivando fino all'Afghanistan e all'India; trama la cui comprensione è la chiave di volta per comprendere cosa accade nel Vicino Oriente e che mette in gioco il difficile rapporto tra Islam e cristianità e la continua diffidenza che corre tra l'Occidente e la Russia. In questa narrazione il ruolo riservato alle grandi potenze occidentali non è sempre felice, anzi non lo è per nulla. Cardini non ha mai nascosto il proprio disappunto nei confronti delle potenze coloniali, in particolare il Regno Unito, colpevoli di aver illuso il mondo arabo durante il primo conflitto mondiale con le promesse di un proprio stato nazionale, per poi ingannarlo, spartendosi i territori e costringendo molti mussulmani a indirizzare molte delle loro simpate prima verso i fascismi poi, nel tempo della decolonizzazione, verso i sovietici e, nell'era della fine delle ideologie politiche, verso il fondamentalismo islamico.
Le potenze predatrici dell'Ovest vengono quindi rappresentate come potenze interessate a depredare il Grande Malato d'Europa, l'impero ottomano, inserendosi in quei corsi e ricorsi storici che hanno visto l'Occidente tentare di destabilizzare a più riprese l'Oriente, con esiti disastrosi sul lungo periodo. Non posso non far cenno alla Crociata del 1204, con cui Venezia e i crociati conquistarono e inflissero un duro colpo all'impero bizantino e ai rapporti tra le due sponde del Mediterraneo. Quella conquista fu dettata da ragioni coloniali ed economiche, certo, ma trovava suo fondamento in quella diffidenza verso il greco che, con la caduta di Costantinopoli, si è trasmutata in un'altra fobia, quella verso la Terza Roma: Mosca. Il mondo che abbiamo ereditato da quella storia, come ben fa notare Cardini, è un mondo orfano dei suoi imperatori e dei suoi imperi, dove non mancarono progetti illuminati di coesistenza (quando non imposta) tra culture e confessioni diverse, ma anche duri conflitti che ne deteriorano le strutture politche, amministrative e sociali. Questi fantasmi della pluralità hanno lasciato il proprio posto nel caso russo alla costruzione di un cittadino nuovo, quello multinazionale sovietico e, nel caso ottomano, a nazioni che non erano meno multietniche dell'impero che le aveva precedute.
Eugenio Enea
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