[tratto da: Pietro Zveteremich, Fantastico grottesco assurdo e satira nella narrativa russa d'oggi (1956-1980),
Messina, 1980, pp. 63-66]
Anch'egli figlio degli anni sessanta e del «Novyj Mir», Fazil' Iskander è uno di quegli scrittori che possono prodursi soltanto in paesi come l'Urss o gli Usa, in società etnicamente e culturalmente composite, dove convivono e a volte s'incontrano nazioni e lingue profondamente diverse. Iskander scrive in russo, ma è un abchazo, ossia originario di quel piccolo popolo che vive nell'omonima repubblica che oggi è incorporata nella Georgia. Questo è un fenomeno consueto nella storia della letteratura russa, che ha assimilato autori di altra origine etnica e se ne è immensamente giovata, cosi come la letteratura anglo-americana è stata ed è per grande parte fatta con l'apporto di autori delle più diverse provenienze etniche, cosi come è accaduto anche per la letteratura tedesca dell'area danubiana. Com'è noto, ciò è dovuto all'attrazione e alla pressione esercitate dalla nazione e dalla cultura egemoni in grandi Stati o aree geografiche plurinazionali..
Restando alla Russia, e tralasciando l'esempio celeberrimo e classico di Gogol', molti ucraini e bielorussi, ed oggi anche autori orientali, sono entrati a pieno diritto nella letteratura russa, maneggiandone magistralmente la lingua e altresí i arricchendola, ma ovviamente anche portandovi gli elementi di culture, di tradizioni, di uno sguardo e di una sensibilità del tutto peculiari. In alcuni casi il desiderio d'integrazione dell'autore allogeno è tale da condurlo a reprimere quanto in I lui è diverso rispetto alla nazione e alla cultura dominanti e non se ne ha più se non una labile traccia, mentre, passando attraverso tutta una serie di casi intermedi, arriviamo all'estremo opposto, ossia il consapevole utilizzo da parte dell'autore allogeno del proprio esotismo rispetto alla letteratura in cui opera.
Questo è il caso di Fazil' Iskander, il cui mondo fantastico è tutto costruito sulle terre natali, su un Caucaso evocato in chiave favolosa e quasi surreale. Dopo alcune buone raccolte liriche egli si fece un nome presso il largo pubblico e si rivelò alla critica come un narratore di qualità e di innata e vitale verve satirica con Sozvezdie Kozlotura [La costellazione del Caproturo]. È la storia buffa e amara insieme di come nelle campagne caucasiche si decida dall'alto per adeguarsi ai moderni tempi della scienza e del socialismo, di creare e di allevare una nuova specie ovina, e cioè il «caproturo», ibrido della capra domestica e del turus caucasicus, che è una particolare capra selvatica. Fin da Le uova fatali di Bulgakov questo tema della mutazione genetica degli animali indotta per migliorare la produzione e avvicinare l'era felice dell'abbondanza è non a caso presente nella letteratura russa contemporanea come un riflesso di tutta quella concezione utilitaristica e volontaristica inerente alla stessa ideologia sovietica, del rapporto uomo-natura e scienza-vita, che propugnava la trasformazione della natura e della vita a fini progressisti, e che, diffusa a livello popolare da una propaganda annosa, ha dato spesso luogo a eccessi, a esperimenti tragicamente falliti (si ricordi la vicenda di Lysenko, come la più nota ed emblematica), a colossali imbrogli. Tale tema può dunque ricorrere cosi facilmente, perché la sua onnipresenza si estende nel tempo e nello spazio: dagli anni venti a oggi, e non semplicemente nelle aule scientifiche, ma dovunque vi sia un campo, un orto, una stalla, un pollaio.
Le Uova di Bulgakov sono una geniale anticipazione, per la loro stessa precocità avveniristica, ma tanto più emblematiche nel senso più alto d'un coinvolgimento dell'intero progetto della rivoluzione, mentre negli scrittori d'oggi il tema è tolto dalla realtà stessa, dalla prassi quotidiana e la satira guadagna di concreto aggancio a fatti vissuti e sofferti sulla propria pelle da contadini o altri, ciò che perde inevitabilmente, ma non primariamente a causa della statura degli autori, in facoltà totalizzanti. Cosi è per il personaggio di Gladyšev nella Vita di Čonkin di Vojnovič, cosi è per questa Costellazione del Caproturo.
Qui, come in Sandra iz Čegema [Sandro di Čegem] si alternano quadri del passato, dell'Abchazija patriarcale, e quadri del presente e c'è il rimpianto per la perdita del mistero della vita, delle sue radici, dei valori tradizionali. Sotto l'humour, il paradosso scherzoso e anche la satira c'è ancora una tensione verso l'ignoto, verso l'incomprensibile, come zona d'ombra dalla quale l'uomo trae una misura più vera e più lata della propria esistenza. I personaggi e i fatti di Iskander sono sempre immersi nel mistero del tutto, di una vita cosmica con la quale non hanno rescisso i legami. Si potrà vedere in questo il condizionamento di una tradizione orientale, il retaggio di una cultura contadina e arcaica, ma è quanto muove la fantasia dello scrittore e i suoi modi peculiari d'espressione che comprendono il favoloso di marca orientale, ma non fanno alcuna concessione all'ornamento, al fiorito, alle tinte aumentate e tendono invece a un disegno ironico, dove solo qua e là un particolare, una macchia, un punto emergono prepotenti a caricare di grottesco il dettato.
Sandra iz Čegema usciva nel 1973 su «Novyj Mir» ma in veste ridotta d'almeno due terzi, mentre il testo integrale era pubblicato in russo nel 1979 negli Usa. Nella prefazione all'edizione americana l'autore tuttavia avverte che egli non considera l'opera come compiuta e che ancora mancano dei capitoli da scrivere e inserire. Il romanzo è infatti strutturato in novelle-capitoli secondo la tradizione della narrativa picaresca persiana e araba e vuol raccontare, scrive l'autore nella prefazione: «La storia d'una stirpe, la storia del villaggio di Čegem,la storia dell'Abchazija, e tutto il restante mondo cosi come lo si vede dalle altezze di Čegem: ecco il canovaccio del progetto».
l protagonista è l' ottantenne zio Sandro, un contadino inurbato, fattosi furbo e malandrino, ma non dimentico dei propri paesani, davanti a cui ama vantarsi delle sue imprese. Egli narra in prima persona le proprie vicende e quelle del suo popolo e quasi dell'intera Georgia dalla rivoluzione a oggi. Scrive ancora l'autore nella prefazione, che il romanzo era stato bensì da lui concepito come un'opera picaresca, ma esso «gradualmente s'è caricato di dettagli dai quali ho cercato di tirarmi fuori per sfociare negli spazi del puro humour, e tuttavia non vi sono riuscito». L'impianto del libro è pur tuttavia picaresco sebbene inasprito da note acri di amarezza e di sarcasmo, che ne spostano l'accento dal tono di avventura divertita in cui pare volersi offrire la narrazione per conferirle anche altri lineamenti: quelli di una satira grottesca e talvolta tragica. Basti ricordare il capitolo "I banchetti di Baldassare", dov'è tratteggiato un ritratto di Stalin in visita in Abchazija che ha tinte di finezza psicologica e di ferocia satrapica quali ancora non s'erano viste cosi plastiche e persuasive, mentre tutto il ritratto vive anche sullo sfondo corale dei connazionali, grazie al che molto si aggiunge alla pene trazione del personaggio. Si tratta d'un saggio di finissima psicologia, in cui l'astuzia e la crudeltà di Stalin - qui non fantastico, ma reale - sono evidenziate senza alcun riferimento plateale, ma con fatti e accenni minimi, come un batter di ciglia. Davanti a Stalin, Lakoba, l'antagonista di Berija, dà spettacolo durante il banchetto facendo il tirassegno alla Guglielmo Tell su un uovo collocato sopra la testa del cuoco. A ogni sparo, l'uovo cola come una gelatina immonda sulla testa e sulla fronte del cuoco, che regge fra le mani il vassoio con le altre uova. Esse tintinnano in sintonia col tremore del cuoco. Questo racconta Sandro, che partecipa al banchetto in qualità di danzatore caucasico, e cosi in tutto il romanzo anche gli eventi del terrorismo degli anni trenta, come tutte le rievocazioni storiche, sono dati per bocca sua.
Come tutti gli eroi picareschi, Sandro è un furfante e un millantatore, ma un personaggio affascinante e simpatico. Se Lazarillo de Tormes era un picaro pubere, Sandro è un pubere ottantenne. Egli proviene dalla campagna patriarcale, dove affondano le sue radici, ma la città è la sua tentazione, il suo vizio, sicché fa da intermediario tra l'una e l'altra, che nel libro non sono soltanto due punti geografici, ma due dimensioni etico-sociali e anche temporali, la prima rappresentando il passato e le tradizioni; e la seconda, la vita moderna. Cosi Sandro impersona anche in sé quella gente che ormai sta fra campagna e città: essa è in rapporto con entrambe e attraverso di essa si avvia il processo di contaminazione e di decomposizione delle tradizioni e della vita antica. Che l'autore cosi rimpiange: «Ebbene, pensai, quando da noi si allontana tutto ciò che amavamo, tutto ciò che ci illuminava con la luce della speranza, del coraggio, della tenerezza, della generosità; quando da noi si allontana tutto questo, io son pronto a stringermi al petto anche la stupidità, perché anche la stupidità è una parte dell'uomo; tanto più son pronto a cadere dinnanzi a lei con filiale tenerezza. Lei infatti ha veduto con i suoi occhi, ha udito con le sue orecchie tutti coloro che noi abbiamo perduto, e non dovrei aver cara l'ultima testimone della nostra vita?».
Nel romanzo gli elementi satirici, grotteschi, fantastici convivono con una diffusa germinazione di poesia. Si pensi soltanto alle mirabili evocazioni del mondo incantato della campagna abchaza o alla stupenda figura di Tali, «miracolo di Čegem», del cui divenir ragazza si dà avviso al lettore con uno scricchiolio di guscio di noce. Questa poesia vive anche nelle cose scritte da Iskander per l'infanzia, come Den' Čika [La giornata di Čik], che sono parte non secondaria della sua produzione. Tornando al Sandro di Čegem, si deve ancora osservare l'importante funzione che vi svolge l'ironia, cosi poco presente in genere nei narratori russi, che qui accompagna tutta la narrazione e nel finale suggerisce il commento che tutti i guai vengono dal fatto che da decenni il Paese è governato da persone senza humour.
In effetti, dice l'autore: «gli abitanti di Čegem hanno fatto un corso accelerato di sviluppo storico. L'hanno fatto, è vero, con una certa qual patriarcale goffaggine in casa propria e fuori, invece, in pieno accordo con il processo della storia e le decisioni degli organi superiori (in sostanza, lo sviluppo stesso della storia era allora prefissato dalle decisioni degli organi superiori); hanno costruito il socialismo, cioè l'economia colcosiana. D'altra parte, andando in città a far mercato, essi si sono per la prima volta assuefatti ai rapporti mercantili-monetari capitalistici». Il mondo di Iskander è immerso in un alone di leggenda e di favoloso, cosa che insieme al ricorso al folklore e al repertorio dell'esotismo, insieme al distacco dalla materia narrata è quanto definisce il suo approccio di scrittore. Sembra tuttavia opportuno notare, che l'esotismo e il folklore, di cui i critici hanno rilevato il peso nella sua opera, non possono essere scambiati per elementi accessori, per espedienti esterni ai fini d'un facile consenso, quando invece scaturiscono dalla stessa materia affrontata e sono consapevolmente assunti e impiegati per un'evocazione più icastica e abnorme di quel particolare mondo orientale che è il Caucaso, la Georgia e, più circoscrittamente, l'Abchazija. In ciò, come per altri aspetti, si possono peraltro avvertire alcune affinità tra Iskander e certi narratori armeni (lo stesso primo Saroyan fece qualcosa del genere in America), o, in un certo senso anche con taluni scrittori israeliti dell'Europa Orientale e narratori latino-americani. Nel gennaio 1979, sull'almanacco underground «Metropol'», usciva Malen'kij gigant bol'šogo seksa [Il piccolo gigante del grande sesso], un racconto che già semplicemente per il suo titolo non avrebbe potuto veder la luce sulle riviste ufficiali. Si tratta delle avventure rocambolesche e tragicomiche d'un fotografo abchazo di nome Marat, che per il suo furore erotico e le sue imprese galanti si caccia in ogni sorta di guai. Il culmine viene raggiunto quand'egli seduce una mantenuta di Berija, il terribile ministro degli interni di Stalin. Lo spavento per il rischio corso è tale da renderlo impotente, cosa da cui guarirà soltanto con un altro non minore rischio, ossia giacendo con una domatrice di serpenti che tiene sempre sul letto un boa constrictor. Si tratta d'un racconto di minor impegno e anche qui peraltro gli effetti comici e assurdi sono finalizzati a denudamenti rivelatori, temperati da una saggia, quasi stanca ironia.
© Eredi Zveteremich
Leggi anche: "Il ribelle del Caucaso - La narrativa epica di Iskander", 1989