ALEKSANDR NIKOLAEVIČ SKRJABIN [1872-1915]
JULIAN SKRJABIN [1908-19]
di Demetrio Nunnari
Nell’ambito della riforma culturale del primo Novecento, il compositore e pianista russo Aleksandr N. Skrjabin [1872-1915] offre anch’egli il suo contributo rendendosi interprete della percezione diffusa dell’avvento di una nuova era. Sensibile al decadentismo letterario e allo sperimentalismo delle avanguardie musicali, approda (dopo una prima fase eclettica votata ai modelli offertigli da Chopin) ad un linguaggio personale dalla trama armonico-melodica radicalmente atonale. Tuttavia, le conquiste dell’atonalità sono da lui esplicitate, prima ancora che nelle sue poche composizioni orchestrali, in una produzione pianistica piuttosto copiosa (203 brani), e nel ciclo delle dieci Sonate in particolare (in verità dodici, se vi si aggiungono quelle “giovanili” scritte negli anni 1886-89), che segna un punto fermo nell’evoluzione della forma della “sonata classica” all’alba del XX° secolo. In Russia difatti questa non attecchisce, e tocca ora a Skrjabin ristabilirne le sorti. Rifacendosi a Liszt, egli ne muta le strutture in quelle di un “poema” episodico per pianoforte e ne cancella man mano la tradizionale ripartizione in tre o quattro movimenti.
Come tale, la “sonata-poema” skrjabiniana presta bene il fianco alle febbricitanti speculazioni intellettuali di un compositore che subisce pesantemente l’influenza del misticismo simbolista. La latenza di un programma unitario all’interno del simbolismo russo induce difatti il suscettibile Aleksandr a far proprie certe posizioni concettuali tanto discordi da sembrare persino destituite di fondamento. Sulla scorta di interessi eterogenei eppur disordinati (da Schopenhauer a Nierssche, dal Libro di Ezechiele alla teosofia di Madame Blavatsky) la sua opera si trasforma in una incessante altalena fra la devozione più ortodossa e la più sfrontata blasfemia: la Sonata per pianoforte n° 7 “Messa Bianca”, la n° 9 “Messa Nera”, la n° 1 (con “Marcia funebre in morte di Dio”), il Poema Divino, il Poema Satanico e altro ancora. Invero, rimane estranea al tormento del genio iconoclasta e visionario di Skrjabin quella Sonata in mi bemolle minore che, scritta negli anni 1887-89, appartiene al dittico delle citate opere “giovanili” che testimoniano della stupefacente precocità del Maestro. Se, difatti, la forma è quella canonica tripartita, l’impianto tonale ben saldo e il riferimento è Chopin, il registro stilistico esibisce già quell’arditezza che Vassilij Safonov (direttore del Conservatorio di Mosca al tempo in cui il Nostro era solo uno studente) riassumeva nel suo motto “Skrjabin non è come Chopin; è più intelligente di Chopin”. L’Allegro iniziale della Sonata fu successivamente pubblicato dall’Autore nel 1894 come brano a sé (e con il titolo di Allegro appassionato op. 4) in una più prolissa ed esuberante rielaborazione che meglio rispondeva al desiderio, presto infranto, di Skrjabin di emulare il virtuosismo lisztiano. Il Presto finale è, poi, costruito sul ritmo di uno sfrenato trepak russo. Struggente è, invece, l’Andantino centrale, con il suo sapore di mazurca di genere melodico (mazurek). Rimasto incompleto fino a che la Sonata non fu rinvenuta postuma da Richard Mersler e Roberto Szidon, fu ultimato da quest’ultimo, che utilizzò materiale tematico desunto dalla stesso brano. L’intera Sonata in mi bemolle minore fu poi incisa su vinile, sempre dal pianista argentino Roberto Szidon, durante gli anni 1968-71 (oggi in cd nelle ristampa DG 477 049-2; una fra le poche registrazioni complete delle Sonate di Skrjabin) e pubblicata dalla Walter Wollenweider Verlag (Monaco, 1986). Proponiamo l’ascolto del Presto di chiusura tratto dall’incisione sopra citata.
JULIAN SKRJABIN [1908-19]
Singolare è, poi, il caso di Julian Skrjabin [1908-19], l’unico dei tre figli di Aleksandr che mostrò talento musicale. Nel 1919 il fanciullo annegò nel fiume Dnjepr, ma – appena undicenne - aveva fatto a tempo a comporre quattro preludi che, stilisticamente, sembrano riprendere dal punto in cui si era fermato il padre. E qui, dato il linguaggio estremamente complesso di quei pezzi, un linguaggio decisamente desueto per un ragazzo della sua età, le opinioni degli studiosi più illustri si fanno parecchio controverse. C’è chi – come il pianista canadese Anton Kuerti – sostiene che «questi preludi sono così straordinariamente buoni da far pensare a due possibilità: o si sospetta che derivino da abbozzi di opere inedite del padre, fornitegli dalla madre, oppure bisogna ritenere che il ventesimo secolo sia stato privato di uno dei suoi più grandi talenti musicali». A suffragio di quest’ultima ipotesi, vi è l’attestazione dell’allora insegnante di composizione di Julian, Reinhold Glière, a favore della precoce originalità del bambino. Proponiamo, qui, l’ascolto dei 4 Preludi di Julian Skrjabin (NAX 8.554145; pianista: Evgenij Zarafiants).
I 4 preludi di Julian Skrjabin |
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Prelude in B, Op. 3, No. 1
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Prelude in B, Op. 3, No. 2
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Prelude in C, Op. 2 Lento - Presto
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Prelude in Db
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