Pietro A. Zveteremich

Aggiornata il 29 Maggio 2009  •  1 Commenti

Gli eredi di Bobok


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Quando Erofeev scriveva Mosca-Petugki e Limonov era un giovane poeta, ossia intorno al 1969, s'era formata una nuova generazione di lettori, una generazione che soprattutto dopo l'invasione sovietica della Cecoslovacchia, non credeva più nei falsi idoli, non credeva più nei falsi vati come Evtusenko; per la quale Solzenicyn era troppo distante generazionalmente e culturalmente; per la quale i derevensciki erano letterariamente modelli scolastici e cultori del passato. Come testimonia in prima persona il già qui citato Naum Korzavin: « Dopo il 21 agosto 1968 (e con questa data semplicemente si concluse il processo di discredito d'ogni speranza in una vita normale) un atteggiamento serio verso la vita - specialmente per la giovane generazione - cominciò a sembrare un anacronismo. I giovani sapevano ormai tutto. Sapevano che il comunismo è una finzione, che i valori non sono incrollabili, che le opportunità della vita sono limitate... Il potere totalitario non è semplicemente un potere; è un ordine di cose, un'imitazione della vita. All'epoca in cui la nuova generazione cresceva quest'ordine di cose era completamente screditato. Capiva questo tutta la parte pensante della società e in genere tutti almeno lo sentivano. E tuttavia quell'ordine di cose continuava a dominare, a esigere fedeltà e venerazione. Erigeva ciò a dovere naturale; esigeva quotidianamente di fingere almeno che fosse così: in breve, ti prendeva alla gola come un morto un vivo. Che cosa restava da fare? Dimostrare che il potere sovietico non andava per nulla? Ma, oltre al fatto che ciò era pericoloso, già allora ciò voleva dire sfondare una porta aperta: tutto questo già allora era stato pensato, vissuto e perfino detto, e la verità si trasformava in banalità. Ma non per questo cessava di esistere e di prenderti alla gola » (48). Anche di qui l'uscita dei nuovi poeti e narratori, che allora cominciarono, nel fantastico, nel grottesco, nell'assurdo, nella satira. Allora vennero fuori gli Erofeev, i Bokov, gli Arkanov, i Popov, i Vachtin, Maramzin e altri. Non tutti, ma alcuni di loro parlavano il linguaggio di quella nuova generazione per la quale non soltanto la letteratura ufficiale era senza voce, muta, ma anche il linguaggio e il mondo dei derevensciki e di Solzenicyn non erano i suoi. In quei nuovi autori del samizdat quella generazione risentiva invece il proprio frasario o il proprio gergo; ritrovava la propria vita, la vita dei sobborghi cittadini di Mosca, Leningrado, Char'kov o altrove, delle fabbriche e dei cortili dei grandi caseggiati di periferia, dove si allevano le specie degli slavnye rebjata (dei « bravi ragazzi ») che possono diventare indifferentemente grigi funzionari o delinquenti; ancora, la vita dei treni pendolari come dei borghi delle campagne collettivizzate; e udivano, sempre in questi nuovi autori - prosatori, poeti, canzonieri -, l'eco delle loro musiche, del rock dilagante; e percepivano i sentimenti, le pulsioni, i rancori e i rifiuti che muovevano la loro vita. In Erofeev tutto questo si raggrumò già nel '69 in una « massa » minuscola di peso specifico enorme; in Limonov esplose più tardi in una confessione senza ritegno.
Negli Stati Uniti c'era la beat generation e nel '70 e dopo si era già oltre, ma il punto di congiunzione tra gli eredi russi di Bobok (non solo chi scrive, ma anche chi legge) e gli americani si situa qui. E' perfettamente applicabile ai giovani russi, al più tardi dopo il '68 (per prendere l'importante data di discriminazione messa in rilievo anche da Korzavin), quanto ha scritto Fernanda Pivano sui giovani americani d'un decennio avanti: « ... la rivoluzione scientifica, le rivoluzioni sociali e la rivoluzione estetica di questo secolo sono state tali da creare in loro una perplessità, uno sgomento, uno spavento, un mal de siècle anche più drammatico di quello dei secoli scorsi. Più che altrove gli adolescenti ne risentono in America; e in America nascono via via le varie 'reazioni', le varie difese, le varie espressioni d'un problema identico oggi a quello che si presentò alle origini del mondo: l'affermazione della propria personalità, la scoperta del Motivo di Tutte le Cose... E' un fatto che la più autentica caratteristica dei giovani beat americani e delle loro produzioni letterarie così spesso accusate di oscenità e di immoralità consiste proprio nel loro inquadrarsi come un movimento poetico di carattere religioso... In fondo non fanno differenza tra l'esaltazione religiosa e quella alcoolica: a loro importa solo di sentirsi 'liberi', di assicurarsi cioè un barlume d'indipendenza e di realtà individuale in un mondo che li sospinge sempre più verso un determinismo odioso e inaccettabile... anche se il loro intento estetico non ha ancora assunto lineamenti precisi, è facile intuire che da questa ricerca di un valore morale originario e intatto debbano passare alla scoperta di mezzi espressivi altrettanto primordiali e immediati... A volte sono parole oscene usate con strana intensità... e a volte sono parole di uno slogan vecchio ma di significato rinnovato e veramente incomprensibile per chi non conosce il codice cifrato della loro vita ».(49)
La condizione e gli atteggiamenti dei giovani russi (con la differenza, ben sintetizzata da Korzavin, d'uno Stato totalitario capillarmente condizionante e del ritardo dovuto anche alla sua assai più potente e ineludibile pressione) si ritrovano in quest'analisi - della nota specialista della nuova letteratura anglo-americana, come vi si ritrovano tutte le caratteristiche dei nuovi scrittori russi nelle varie loro tendenze. Erofeev ha gli Angeli e dialoga con loro lungo la sua via crucis in Mosca-Petuski, ma gli Angeli si scambiano con i Demoni. Quando, nel suo delirio mistico-filosofico, lo mette letteralmente al muro e lo uccide nel più atroce dei modi, sgozzandolo con una lesina, il Male (la società, lo stato?) rappresentato da quattro biechi individui, Erofeev si rivolge a Dio: « ...mi dissi Talitha qúmi', ossia alzati e preparati alla fine... Ma questo non è `talitha qúmî', io sento, quest'è lama sabachtani come disse il Salvatore ...Ossia: 'Perché, Signore, mi hai abbandonato?' Perché, insomma, m'hai abbandonato, Signore?' Il signore taceva. `Angeli del cielo, quelli salgono! [gli inseguitori] Che devo fare? Che cosa devo fare adesso per non morire? Angeli...' E gli angeli scoppiarono a ridere. Voi sapete come ridono gli angeli? Sono creature immonde, adesso io lo so. Volete che vi dica come ridevano? Una volta, molto tempo fa, alla stazione di Lobnja un uomo fu maciullato dal treno e lo fu in modo inimmaginabile: tutta la sua metà di sotto era stata sminuzzata in piccoli pezzi e scaraventata sulla massicciata, mentre la metà di sopra, dalla cintola in su, era rimasta come viva e stava ritta presso le rotaie come stanno sui piedestalli i busti d'ogni sorta di canaglie. Il treno s'era allontanato e quella metà continuava a restar ritta e la sua faccia aveva come un'espressione indaffarata e la bocca semiaperta. Molti non erano capaci di guardare questo spettacolo e si voltavano dall'altra parte, pallidi e con un languore mortale nel petto. Dei bambini corsero invece verso di lui, tre o quattro bambini, raccolsero chissà dove un mozzicone ancora fumante e glielo misero in quella bocca morta semi-. aperta. E il mozzicone continuava a fumare e i bambini saltellavano intorno e ridevano a crepapelle per quel divertimento... E così ridevano adesso di me gli angeli del cielo. Essi ridevano e Dio taceva... » (50).
Venicka, il protagonista di Erofeev, che è poi lui stesso (Venicka non e che un diminutivo-vezzeggiativo di Venjamin) sa che la morte è lì per colpirlo nel modo più orrendo. Edicka­Limonov (Edicka è il diminutivo-vezzeggiativo di Eduard), anche egli sprezzante della società ed emarginato volontario, attende che si compia il suo destino: « Io sono un rifiuto. Io ricevo il Welfare. Devo nutrire me stesso: ingoiare sci(*). Sono solo, devo pensare a me stesso... Il vento del caos, feroce, tremendo, ha distrutto la mia famiglia. Anch'io ho dei genitori: lontano, mezzo giro del globo terrestre da qui, in una verde viuzza della Ucraina... In guerra sono morti mio zio e i nonni. Sotto le varie Leningrado e Pskov. Per gli interessi del popolo. Per la Russia, merda!... La vita di per sé è un processo privo di senso. Per questo io mi sono cercato un'occupazione elevata nella vita. Volevo amare con piena dedizione, da solo io mi annoio sempre. Ho amato, come mi accorgo adesso, in modo straordinario, forte e terribile, ma risultò che volevo in cambio amore. Questo è già qualcosa che non va quando vuoi qualcosa in cambio. Ho perduto tutto, ma non mi sono arreso manco per il c.... e ora sto seduto sul balcone e guardo giù. Oggi è sabato e le vie sono deserte. Io guardo queste vie e non mi affretto. Ho molto tempo davanti a me. Che cosa ne sarà di me concretamente? Domani, dopodomani, fra un anno? Chi lo sa! Grande è New York, lunghe le sue strade... Chi incontrerò, che cosa succederà non si sa. Forse capiterò in un gruppo armato di estremisti, apostati come me, e creperò dirottando un aereo o espropriando una banca. Forse non ci capiterò e andrò da qualche parte, dai palestinesi, se ancor ci saranno, o dal colonnello Gheddafi in Libia, o chissà dove a sacrificare la testa di Edicka per della gente, per un popolo. Perché io sono un ragazzo pronto a tutto. E cercherò di dare qualcosa agli uomini. Una mia impresa. La mia morte senza senso. Ma sì, qualcosa cercherò di fare! Mi son dato da fare per trent'anni. Darò... Per l'emozione mi si riempiono gli occhi di lacrime, come sempre per l'emozione, e non vedo più neppure la Madison in basso... `Vi ho fottuti tutti quanti, cagne fottute in bocca!' dico, tergendomi le lacrime con il pugno della mano. Forse indirizzo queste parole ai buildings tutt'attorno. Non lo so. `Vi ho fottuti tutti quanti, cagne fottute in bocca! Andate tutti a farvi fottere! mormoro piano » (51).
Sia a Erofeev, sia a Limonov si attagliano le parole dette da Norman Mailer al processo di Boston contro Burroughs per oscenità: « Per me, questo è un semplice ritratto dell'Inferno. E' esattamente l'Inferno. Secondo la mia opinione, Burroughs - qualunque possa essere la sua intenzione conscia - è uno scrittore religioso. In Naked Lunch c'è un senso della distruzione dell'anima più intenso di quello che ho trovato in qualunque altro romanzo moderno. E' una visione di come la umanità agirebbe se fosse completamente separata dall'eternità » (52). E qui ci si consenta un'intrusione: non sono queste le parole usate da Bachtin per Bobok? Prosegue Mailer: « Ciò che dà a questa visione una chiarezza da mitragliatrice è la completa mancanza di sentimentalismo... Burroughs evita perfino la possibilità di questo sentimentalismo (che naturalmente distruggerebbe il valore della sua opera) usando un vocabolario stringente e mordente in una serie di avvenimenti precisi e orribili, una specie di humour da forca, che è l'ultimo orgoglio dell'uomo sconfitto, l'orgoglio che l'uomo sconfitto di non avere almeno perduto la sua amarezza » (53).



(Estratto da “Nuovi Annali della Facoltà di Magistero dell'Università di Messina 4 (1986)

(48) N. Koriavin, Skvoz' soblazny bezvremen'ja, « Kontinent », Paris, N. 42, 1984, pp. 325-326.
(49) F. Pivano, La « beat generation » in: J. Kerouac, Sulla strada, Mondadori, Milano, 1967, p. 21 passim.
(50) V, Erofeev, Moskva-Petuski, op. cit., p. 164; in it.: Mosca sulla vodka, op. cit., pp. 180-181.
(*) E' la nota zuppa russa acida di cavoli o altri legumi.
(51) E. Limonov, Èto ja - Edicka, Index Publishers, New York, 1979. pp. 280-281. Esiste un'ed. it. (Frassinelli, Milano, 1985), ma è tagliata e tradotta dalla trad. francese (Le poète russe préfère les grands nègres, Ed. Ramsay et J.J. Pauvert, Paris, 1980), della quale riprende l'arbitrario titolo.
(52) - Cit. da F. Pivano, Prefazione al volume: W. Burroughs, Il pasto nudo, SugarCo, Milano, 28 ed. 1978, p. V.
(53) Ivi.