Pietro A. Zveteremich
Gli eredi di Bobok
Se la creazione letteraria russa oggi s'è straordinariamente dispiegata, grazie soprattutto ai canali del samizdat e del tamizdat, e molto è maturata e s'è diversificata rispetto anche a soltanto quindici o vent'anni fa, meno à la page sembra la sua coscienza critica. Ancor oggi, infatti, si discute se sia legittima un'arte che non persegue il bene e il bello, che è indifferente ai valori etici e sociali, che non mira ad altro fine che alla propria legittimità, funzionalità in quanto tale. Di ciò ovviamente si può discutere nella libera cultura russa all'estero, essendoché in Urss ancor nell'ultimo scorcio di quest'anno è stato di nuovo ufficialmente decretato dal Partito che l'arte ha da « servire » il socialismo. In un mio precedente scritto su questi stessi Nuovi annali ho documentato come anche il modo di servirlo sia soggetto a una normativa: non che ciascun artista o poeta creda di servire il socialismo a modo suo. Anche le parole e le forme hanno un limite prescritto, sia pur oscillante secondo i momenti(23).
Che questa sia la condizione dell'arte in Urss si sa. Colpisce di più il fatto che per l'autonomia dell'arte certi autori e certi critici debbano dare ancora battaglia nelle condizioni del libero esercizio letterario in Occidente. Alla conferenza internazionale « La letteratura russa in emigrazione: la terza ondata », tenutasi nel maggio 1981 a Los Angeles, Sinjavskij ha dovuto dichiarare: « Nulla d'estraneo all'arte (la politica, la morale, la filosofia e perfino la religione, e perfino la 'verità', tutta la pienezza della verità), a mia soggettiva opinione, potrà salvare lo scrittore » (24). Gli è stato risposto: «Con siffatto punto di vista difficilmente sarebbero stati d'accordo Gogol' e Turgenev. Ma probabilmente avrebbero solidarizzato con esso quegli scrittori occidentali, e russi filo-occidentali, a fianco dei quali S. Dovlatov mette anche E. Limonov, ossia Arcybasev, Henry Miller, Louis Céline, il grande (!) William Burroughs. E l'opinione di Sinjavskij non è affatto imparziale, né originale: si può citare una quantità di teorici dell'arte, cominciando da Platone e finendo con B. Croce, che non vedeva un nesso tra l'arte e, diciamo, la morale »(25). Non ha senso riferire d'una disputa a tale livello se non per dar conto di come anche la libera cultura russa sia ancora prigioniera di tradizioni religioso-populistiche e impermeabile agli esiti delle teorie estetiche moderne in parte anche a causa dell'isolamento seguito agli eventi del 1917. Oltre a Sinjavskij c'è però un gruppo aggiornato e combattivo, che comprende V. Maramzin, il critico (e anche poeta) L. Losev, allievo di Bachtin, i poeti Brodskij e Sapgir, letterati della nuova generazione come Sokolov, Dovlatov, Jur'enen, Aleskovskij, Tupicyn e molti altri, i quali hanno una concezione della letteratura esente da tabù e convenzioni e verificata anche sulle acquisizioni dell'Occidente.
Si comprende a questo punto perché abbiano fatto tanta fatica non si dice ad affermarsi, bensì anche semplicemente ad essere accettati due scrittori come Venedikt Erofeev ed Eduard Limonov, assai differenti tra loro, ma entrambi trasgressori nel linguaggio e nei contenuti; l'uno vivente in Russia nell'anonimato e diffuso dal samizdat, l'altro in emigrazione a Parigi. E pur sono, a parere di chi scrive, i due autori più nuovi e rivelatori della letteratura russa d'oggi. Essi, ognuno a suo modo, hanno effettuato la rottura più violenta e produttiva con il linguaggio tradizionale; più si sono distaccati dalla « provincia », sia essa russa, americana o italiana, tedesca, francese. Quella « provincia », tanto per intendersi, che in Russia è egregiamente rappresentata dai derevensciki, come nell'America Latina dai Màrquez, e dappertutto ha i suoi degnissimi e anche ammirevoli o affascinanti autori, quelli però che non toccano mai il fondo della tragedia moderna. Questo mostrano invece di riuscire a fare i due suddetti, rivelandosi scrittori russi e scrittori moderni tout court, i più veri discendenti dell'esplorazione dostoevskiana, alla quale l'intera letteratura del nostro secolo, indipendentemente dalla sua appartenenza linguistica e culturale, tutto deve. Naturalmente i modi d'approccio e i gradi di avvicinamento a quest'esplorazione sono i più diversi e nella prosa russa d'oggi se ne hanno degli esempi, specie in certi momenti di Grossman, di Solzenicyn e di Sinjavskij, ma qui a noi interessa quell'approccio che s'è manifestato lungo la linea Sologub, Zoscenko, Bulgakov, Platonov, Zabolockij, Olesa, Dombrovskij, Vojnovic, tanto per dare qualche riferimento.
Alla soglia degli anni settanta in Russia era avidamente letto in gran segreto il libro Moskva-Petuski d'uno sconosciuto Venedikt Erofeev. Notizia ne era giunta anche in Occidente, ma fu possibile leggerlo solo nel 1973, quando lo stampò un'effimera rivistina russa d'Israele, che unicamente grazie a questo è passata alla storia(26). Chi scrive lo lesse allora e fu « colpito innanzi tutto dalla sua completa novità non solo rispetto alla letteratura ufficiale, ma anche rispetto al carattere generale della letteratura clandestina. In un paese in cui per tradizione la letteratura è sempre stata presa sul serio ed essa stessa 'si prende sul serio', compresa quella di contestazione, al punto che questa serietà spesso è inerte e semplice grigiore, ecco un guitto che aveva il coraggio di presentarsi nelle sue vesti di guitto, con il suo linguaggio di guitto e i suoi lazzi. E non soltanto: ecco questo guitto mettere in piedi una recita così piena di verve, di genialità e di disperazione da far sì che dietro i modi della farsa la sua sostanza sia invece la tragedia e vi sia qui una serietà di fondo che pochi autori di intenzioni 'serie' arrivano a toccare » (27). Con queste parole si segnalava l'eccezionalità dell'opera di Erofeev, ma essa era troppo « nuova » e l'editore italiano si decise quando seppe che anche in Francia essa era stata tradotta, e copiò il titolo francese Moscou-sur-vodka.
Il libro entrò così nella circolazione europea, come riconobbe l'autorevole rivista « Kontinent »: « Sembra - essa scrisse - che le case editrici russe all'estero, coronate da nobile canizie, abbiano considerato il loro compatriota di Mosca troppo `non comme il faut'; perfino il giornale « Russkaja Mysl' » ha stampato una recensione del poema di Erofeev soltanto dopo la uscita dell'edizione francese. Del resto, il recensore l'ha letto in francese! Come se non fosse mai esistita la pubblicazione russa di cui tutti erano a conoscenza. Essa sembrava troppo sconveniente. Del resto, anche quella francese sembrò sconveniente, ma tacere era ormai imbarazzante, perché i francesi avevano espresso troppo rumorosamente il loro entusiasmo. Ed ecco che così dopo quattro anni il libro Mosca-Petuski vide la luce nel natìo cirillico: la casa editrice YMCA-PRESS fece un reprint offset da 'Ami' » (28). La rapida recensione non s'inoltra peraltro in un esame critico, limitandosi a concludere con un breve elogio, che con soddisfazione abbiamo visto in fondo concordare con le righe sopraccitate della nostra Nota: « La viva e concreta percezione delle parole `dolore mondiale', di cui l'autore rende confessione, fa del suo libro, del suo poema - nonostante tutta l'intollerabilità di certe parole per le rosee orecchiuzze femminili - una delle opere più caste, più tragiche e più vere dei nostri tempi » (29). Lo stesso aveva più o meno scritto nel suo buon libro sulla letteratura russa libera J. Mal'cev: « Al di là della comicità e dell'ironia si nasconde una triste verità e una grande serietà » (30). Egli, che era emigrato da poco dall'Urss e perciò portava fresca l'immagine dell'ambiente, aggiunge che « Erofeev è un uomo del popolo: egli stesso ha faticato a quei lavori ai cavi che sono descritti nel racconto. Egli possiede una profonda intuizione dello spirito dell'odierna vita degli operai russi e una vera conoscenza dell'esistenza del popolo, della sua psicologia e del suo linguaggio. In Erofeev troviamo la vera lingua parlata d'oggi non come un dialogo esotico per incorniciare la narrazione fatta dall'autore, ma come un modo organico d'auto-espressione; e quest'è, indubbiamente, un suo grande contributo alla letteratura russa d'oggi. Dopo di lui molti autori del samizdat hanno visto nell'innovazione del linguaggio, o meglio in un certo `realismo' o anche 'naturalismo' linguistico, la via più diretta per rispecchiare le nuove tinte della vita sovietica d'oggi e della sua psicologia (31). Ciò è giusto, ma il linguaggio di Erofeev è molto di più che una trasposizione in letteratura della « vera lingua parlata » oggi dai russi. Devo ancora rifarmi a quella mia Nota, pubblicata in appendice alla traduzione, dove scrivevo: « ... il linguaggio stesso di questo testo è di per sé una provocazione nel suo impasto grottesco di gergo ufficiale, `sovietico sacrale', e della parlata della strada, dei beoni, del turpiloquio e dell'affronto, nonché nel frequente impiego di lessico solenne o addirittura filosofico per oggetti e temi futili o generalmente ritenuti spregevoli. La satira nasce pertanto già da un'operazione linguistica oltre che dagli accostamenti più labili ed effimeri, ma del tutto coerenti con la filosofia del protagonista, di entità talmente eterogenee nella gerarchia del `senso comune' da suscitare un'automatica azione dirompente »(32).
(Estratto da “Nuovi Annali della Facoltà di Magistero dell'Università di Messina 4 (1986)
(23) Cfr. pp. 677-682 e passim in: P. Zveteremich, Dissenso e no: esiste una letteratura sovietica?, « Nuovi Annali della Facoltà di Magistero dell'Università di Messina », 1 (1983), Editrice Herder, Roma.
(24) A. Sinjavskij, «.Sintaksis », N. 10, 1982, Pariz.
(25) G. Andreev, « Sintaksis » N. 10, « Russkaja Mysl' », N. 3447, 13.11.1983, Paris.
(26) v. Erofeev, Moskva-Petuski « Ami », N. 3, 1973, Ierusalim, pp. 97-165.
(27) p. zv., Nota del curatore in: V. Erofeev, Mosca sulla vodka, Milano, 1977, p. 183.
(28) « Korotko o knigach: V. Erofeev, "Moskva-Petuski" », « Kontinent », N. 14, 1977, Paris, pp. 369-370.
(29) Op. cit., pp. 370-371.
(30) J. Mal'cev, Vol'naja russkaja literatura, Posev, Frankfurt/M., 1976, p. 106 (Dell'opera esiste un'ed.it.: "L'altra . letteratura. 1957-76. La letteratura del samizdat da Pasternak a Solzenicyn, « La casa di Matriona » Milano, 1977).
(31) Ivi.
(32) p. zv., Nota del curatore, op. cit., p. 184. Ed è con piacere che oggi, dopo la sua conferma come autore, voglio appoggiare Erofeev a Petronio e quelle mie parole d'allora sul suo inventivo impasto linguistico a quanto scrive su tale tema Luca Canali a proposito del classico latino: « ...l'incontestabile magistero stilistico petroniano, la cui 'invenzione' stilistica e linguistica, e in sostanza l'inarrivabile pastiche, che va controcorrente opponendosi all'artificiosità dello stile letterario di età neroniana, costituiscono una consapevole scelta espressiva... la straordinaria perizia linguistica di Petronio, che sa percorrere tutta la scala degli stili, dall'infimo al medio, all'aulico, sino a sfiorare il sublime (in senso parodistico) quando vuol dare maggior risalto alla comicità di personaggi incolti - Trimalcione soprattutto -, che in certi momenti vogliono spropositatamente dar prova di cultura e di eloquenza » (L. Canali, L'erotico e il grottesco nel « Satyricon », Laterza, Roma, 1986, pp. XI-XII). Si vogliono qui notare anche le analogie tra « l'artificiosità dello stile letterario di età neroniana » e l'artificiosità dello stile letterario sacrale sovietico, come tra i « personaggi incolti - Trimalcione soprattutto » e certi personaggi e fantasmi storici di Erofeev fino al caporeparto Prochorov della Notte di Santa Valpurga.