Pietro A. Zveteremich

Aggiornata il 29 Maggio 2009  •  1 Commenti

Gli eredi di Bobok


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Ciò che si pubblica in Russia e nel suo impero è al confronto scarso e scialbo, e spesso non si sa se sia da ammirarsi per la sua capacità di sopravvivenza o da deprecarsi per il suo compromesso. Si allude qui a buoni scrittori come i cosiddetti derevensciki(14) [« i campagnoli », i « rurali »] superstiti, i quali, insieme al retaggio dei prematuramente scomparsi Suskin Abramov, Trifonov, J. Kazakov, a singoli nomi come Rasputin e Okudzava, formano il piccolo nocciolo non del tutto corrotto delle belle lettere che si stampano in Russia. Con i poeti le cose non vanno meglio soprattutto se pensiamo che in Occidente, grazie ai simposi, ai meetings, ai premi, il prestigio della poesia russa sembra affidato a personaggi come Evtusenko. Chi aveva dignità, se ha potuto, se n'è andato; chi ripone nel cassetto o manda all'estero. Ma la Russia è feconda: mentre si scrivono queste righe, altri ingegni sono al lavoro in tutte le direzioni e il quadro cambia continuamente.
Il tema del nostro discorso è assai più circoscritto: parlare di due eredi privilegiati di Bobok, di due tra gli autori che negli ultimi anni si sono affermati nella corrente della satira, del grottesco e del fantastico, corrente che è forse la più vitale e rinnovatrice della letteratura russa d'oggi, ossia di Venedikt Erofeev e di Eduard Limonov. Sembravano tuttavia utili le righe di ragguaglio di cui sopra per dar modo di situare il fenomeno e per non correre il rischio d'essere intesi soltanto da un men che esiguo numero di specialisti. Non molto è tradotto, infatti, di quanto autori clandestini in Russia e autori in emigrazione (siamo ormai oltre la cosiddetta tret'ja volna, la terza ondata) hanno finora pubblicato nell'Europa Occidentale, negli Usa, in Israele, suscitando un'eruzione letteraria irruente e compatta, che, con i suoi imprevedibili tragitti e con i bagliori della sua lava, illumina al vivo il paesaggio reale della Russia d'oggi per uno spettacolo che sgomenta e afferra gli spettatori. Ciò si deve dire soprattutto di quella prosa (ma anche poesia) del fantastico, del grottesco, dell'assurdo e della satira, la quale da trent'anni a questa parte ha assunto un vigore e ha raggiunto una profondità d'immersione tali da farla considerare come l'onda portante dell'espressione letteraria della Russia, presentando in tal modo un fenomeno quale nessun'altra letteratura oggi conosce. Se fino attorno al 1979 c'erano Terc-Sinjavskij, Dombrovskij, Vojnovic, Venedikt Erofeev, Vladimir Kazakov, Aleskovskij, Bokov, Iskander, Vachtin, Aksenov, Kormer, dopo di allora questi autori si sono confermati, ma altri, allora appena esordienti, come Evgenij Popov, Arkanov, Eduard Limonov, Viktor Erofeev, Mamleev, Sokolov, Jur'enen hanno attestato la propria vera dimensione. E' inoltre del tutto recente la rivelazione di V. Sorokin, presentato dalla rivista « Sintaksis »(15) di Sinjavskij, mentre quasi contemporaneamente usciva sulla rivista « Kontinent » di Maksimov una nuova opera di Venedikt Erofeev(16). Entrambe queste riviste si pubblicano a Parigi, ma i due rispettivi autori vivono alla macchia in Russia. Il flusso non si arresta, ma, al contrario, si arricchisce.
Va ricordato, sia pure di sfuggita, che tutto questo cominciò nel 1956, quando la rivista francese « Esprit » pubblicò il saggio Cto takoe socialisticeskij realizm [Che cos'è il realismo socialista], firmato « Anonimo sovietico ». « ... Vogliamo sperare, - scriveva l'autore, - che la nostra esigenza di verità non ostacoli il lavoro del pensiero e dell'immaginazione... io ripongo la mia speranza in un'arte fantasmagorica con ipotesi al posto dello scopo, con il grottesco al posto della descrizione della vita quotidiana. E' essa che più pienamente corrisponde allo spirito dei nostri giorni. Che le immagini iperbolizzate di Hoffmann, Dostoevskij, Goya e dello stesso Majakovskij socialista ci insegnino ad esser veridici attraverso la fantasia più assurda »(17). Il saggio fece enorme impressione tra gli intellettuali d'Occidente e molti non credettero che venisse dalla Russia. E invece anche là, - come si legge nel bel libro di memorie dello scrittore Svirskij, poi emigrato, - « ... il samizdat portò via con sé il saggio come il vento. In molte case discutevano del suo significato... esso fu una gioia per noi tutti... »(18). Nel 1965 l'autore fu identificato e arrestato dal Kgb, e così si seppe che era Andrej Sinjavskij, noto critico e autore di saggi « legali » su Pasternak, Picasso, ecc. Dopo sette anni di deportazione in Siberia gli fu consentito/imposto di emigrare. Nel frattempo, a dargli pienamente ragione, la letteratura del fantastico, del grottesco, della satira era stupendamente rinata in Russia e oggi, a trent'anni di distanza da quel saggio, si deve parlare d'una vera e propria tendenza che ha un peso determinante.
E questa letteratura del denudamento dissacrante non poteva che essere la figlia della fine dell'utopia nelle menti e nei cuori, la figlia del dissenso e parlare con il linguaggio dell'assurdo e del turpiloquio. Ciò è stato segnalato dallo slavista Georges Nivat nella sua relazione alla Biennale del dissenso di Venezia nel 1977, poi rielaborata in saggio: « Comunque sia, la letteratura dissidente russa mi si presenta come strutturantesi secondo il modello della lotta tra il linguaggio dello straniamento e l'accanito sacrilegio. Il testimoniare di per sé ancora non crea la letteratura della dissidenza. Tutti i grandi dissidenti sono « uomini del sottosuolo » sui generis, ovvero, come dice Solzenicyn, « pesci d'acque profonde » tratti d'improvviso alla superficie. Soltanto il linguaggio del fantastico era in grado di resistere al salto di pressione. Ed io credo che, dal punto di vista letterario, proprio questo carattere fantastico della pensosità affascini il lettore stanco, ossia noi, uomini dell'Occidente »(19). E che cosa diceva nel 1971 un « uomo del sottosuolo » (com'era definito nel titolo del capitolo) d'un romanzo d'ambiente russo di chi qui scrive? « ... Lo scrittore, l'artista, l'intellettuale devono essere blasfemi, sovvertitori, sputare nel piatto dove mangiano. Quest'espressione ...con la quale invece da noi si crede di additare il massimo peccato dei Zoscenko, dei Pasternak, dei Sinjavskij, dei Solzenicyn e di ogni altro, di additarli alla gogna, è la più grande lode che si possa fare a un artista, a un intellettuale: in tutti i tempi e soprattutto dove si proclama il comunismo... E non è poi tanto facile fare un bello sputo! »(20).
E' istruttivo ricordare che questi stessi concetti sosteneva, prima del potere staliniano, il noto rivoluzionario Lunacarskij, anche critico e teorico letterario, che nel 1930 Benedetto Croce derise per la sua fede in un'estetica marxista: « La grande satira - scriveva egli - nasce soltanto laddove l'autore satirico è illuminato da un ideale, forse non del tutto chiaro e nondimeno vivo in lui e in coloro di cui egli appare il rappresentante. Scedrin aveva un simile ideale. La grande satira cresce laddove questo ideale praticamente non si può realizzare. In tale posizione si trovava Scedrin. La grande satira nasce laddove la forza che è d'ostacolo al movimento verso l'ideale è incommensuabilmente inferiore come livello culturale all'autore satirico. Così fu per Scedrin. La grande satira nasce laddove la forza che viene condannata e derisa di fatto risuluta vincitrice e suscita per ciò stesso nuove ondate d'astio e di rancore contro se stessa. Così fu per Scedrin. E c'è una circostanza aggiuntiva, che dal punto di vista formale favorì in modo abbastanza inatteso la crescita del nostro grande satirico. Tale forza fu la censura. Poiché non si può ridere apertamente, poiché non si possono chiamare le cose con il loro nome, bisogna mettere alle idee una maschera. Ma l'idea in maschera è una delle più alte forme d'arte » (21).
Lunacarskij qui si riferiva a un grande dell'800 russo, ma curiosamente in particolar modo oggi - benché anche quando furono scritte negli anni venti, come dimostra sul materiale dell'epoca un rivelatore saggio di L. Heller(22) - le sue osservazioni sulla genesi della satira, alle quali non si può non riconoscere un fondamento, s'attagliano perfettamente alla satira dissidente a un secolo dall'epoca zarista, alla satira dell'epoca « sovietica », di quella società che Lunacarskij non tra gli ultimi preparò e dalla quale fu pur egli emarginato. Egli peraltro come critico letterario ebbe anche intuizioni azzeccate, come certe sue tesi su Dostoevskij che poi furono ampiamente sfruttate da G. Zukacs.



(Estratto da “Nuovi Annali della Facoltà di Magistero dell'Università di Messina 4 (1986)

(14)Per maggior ragguaglio si veda: P. Zveteremich, E' suonata in Rus­sia l'ora di raccogliere pietre..., « Nuova Rivista Europea », N. 29-30, 1982, pp. 27-41.
(15)V. Sorokin. Ocered', Izd. « Sintaksis », Pariz, 1985, pp. 240.
(16)V. Erofeev, Val'purgieva noc` ili « Sagi Komandora », « Konti­nent », N. 45, 1985, pp. 96-185, Paris.
(17)Fantasticeski j mir Abrama Terca, New York, 1967, p. 446.
(18)G. Svirskij, Na lobnom meste. Literatura nravstvennogo soprotivlenija: 1946-1976, « Novaja l.iteraturnaja Biblioteka », London, 1979, p. 263.
(19)G. Nivat, « Vyzov » i « provokacija » kak èsteticeskaja kategorija dissidenstva, « Sintaksis », Pariz, N. 2, 1978, pp. 109-110.
(20)V. Tenin (pseud.), Le notti di Mosca. Riposa in pace, caro compagno..., Olimpia Press Italia, Milano, 1971, pp. 124 e 282-283; 2a ed. firmata P. A. Zveteremich, SugarCo, Milano, 1986, pp. 109 e 233-234.
(21)A. V. Lunacarskij, Russkaja Literatura, Ogiz, Moskva, 1947, p. 201. L'articolo era apparso sul giornale « Pravda » del 28.1.1926. La sottolineatura è mia.
(22)L. Heller, Zamjatin: Prophète ou temoin? « Nous autres » et les rèalités de son époque, « Cahiers du Monde russe et soviétique », 2-3, 1981, Paris.



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