Questi versi sono del luglio 1916: è la stessa Cvetaeva che ci racconta in "Storia
di una dedica" (testo inedito in Italia) in quale contesto nasce. Marina è ad
Aleksandrov, ospite della sorella e ha portato con sé Osip Mandel'stam. "Davanti a
casa, dall'altra parte dei cespugli del giardino, una piccola piazza. E' lì, che i
soldati imparano a - sparare."
Più che all'amico poeta, del resto insofferente alla campagna e ben presto in fuga verso
la Crimea, la Cvetaeva pensa a leggere (la Achmatova, per la prima volta) e a scrivere (i
"Versi a Blok").
La poesia, che fa parte del ciclo "All'Achmatova", è riportata qui accanto
nella traduzione di Pietro Zveteremich.
Questa poesia, del dicembre 1916, chiude la raccolta "Versti" (I), pubblicata
nel 1922, una sorta di diario lirico di quell'anno che comprende anche la precedente
"Un bianco sole...", per poi entrare nel ciclo "Insonnia" pubblicato
in "Psiche" a Berlino nel '23.
Essendole stato chiesto se il concetto a base del ciclo fosse la veglia oppure l'Insonnia,
la Cvetaeva nel 1923 rispondeva:
"...Voi dite...: veglia, come volontaria, e insonnia, come passiva (dovuta alla
natura)... Si sa: dormire (la notte è fatta per questo!), talvolta: non dormire (mal di
testa, preoccupazioni) - ma vegliare... Veglia come esigenza, principio fondamentale
dell'Insonnia, procedente lungo il corso della veglia... ecco la mia risposta" (da
"L'armadio segreto", Marcos y Marcos).
La traduzione è, anche in questo caso, di P.Zveteremich.
Questa poesia fa parte della raccolta "Dopo la Russia". E' già una Cvetaeva
diversa, più matura rispetto a quella dei versi giovanili precedentemente riportati. Ma,
quando Marina nel 1937 scrive il "Racconto di Sonecka", ricorda come quei versi
le erano stati ispirati nel 1919 dall'amata Sofija Gollidej:
"...Tuttavia le rubai un verso: a lei che non ne scriveva, io - con tutta la mia
smisurata, impareggiabile onestà - si, glielo rubai. Questo è l'unico plagio della mia
vita. Una volta raccontandomi di una sua offesa:
- Oh, Marina! Mi sono venute delle lacrime grandi così - più grandi degli occhi!
- Ma voi sapete, Sonecka, che un giorno io lo ruberò per una poesia, perché questo
è assolutamente straordinario - per precisione e ...
-Oh prendete, Marina! Tutto ciò che volete - prendetelo! Prendete nella poesia tutto il
mio, prendete tutto! Perch nelle vostre mani tutto vivrà - in eterno! E che cosa
rimarrà di me? Alcuni baci..."
La traduzione, come il brano riportato, sono tratti dal "Racconto di Sonecka"
edito a cura di Giovanna Spendel da "La Tartaruga".
Giunta a Berlino nel '22, la Cvetaeva si innamorò di Abram G. Visnjak, proprietario
della casa editrice Elicona, che le pubblicò due piccole raccolte di versi. Ma lui era
sposato e forse poco interessato ad una relazione sentimentale. L'amore e la successiva
delusione sfociarono nel ciclo poetico "Indizi terrestri" e nelle "Neuf
lettres", un romanzo epistolare basato sulla corrispondenza che i due intrattennero.
"Le memorie dei contemporanei e i saggi che gli studiosi le hanno dedicato fanno
spesso cenno a queste malintese infatuazioni, fonte di dolore per la donna Cvetaeva e di
fervida ispirazione per il poeta." (S.Karlinsy)
La traduzione è di Serena Vitale.
Il destinatario della lirica è Mark Slonim, critico e storico della letteratura, allora
uno dei redattori della rivista "Volja Rossii", che si stampava a Praga e che
per tutti gli anni Venti ospitò regolarmente le opere della Cvetaeva.
La Cvetaeva, soprattutto agli inizi della loro conoscenza, avvenuta a Praga, fu legata da
un complesso rapporto di amore-odio a Slonim, che rimase fino all'ultimo uno dei suoi
pi fidati amici, fonte di sostegno materiale oltre che spirituale.
Traduzione e note di Serena Vitale.
Giunta da poco a Parigi, Marina Cvetaeva è ospite presso l'amica OlgaKolbasina-Cernova
in un piccolo appartamento della "banlieue" operaia. Alla Teskova scrive:
"Il quartiere in cui viviamo è orribile: pare uscito dal romanzo d'appendice 'I
bassifondi di Londra'. (...) Non vado in nessun posto perché non ho niente da mettermi
né i soldi per coprare qualcosa. (...) Ricevo molti inviti, ma non posso accettare
perché mi mancano il vestito di seta, le calze e le scarpe di vernice (l'uniforme
locale). Così rimango a casa e tutti mi accusano di superbia";
e ancora:
"Vivo molto male, siamo accalcati in quatro in una stanza e non riesco assolutamente
a scrivere. Penso con amarezza al fatto che il più mediocre corsivista, che neanche
rilegge quello che scrive, ha uno scrittoio e due ore di silenzio. E io queste cose non le
ho neppure per un minuto: eternamente in presenza di altri, tra conversazioni,
continuamente strappata dal quaderno"
Le entrate finanziarie della Cvetaeva erano certo limitate ai sussidi che il governo ceco
le corrispose fino ai primi anni trenta, alle piccole somme che diversi amici e ammiratori
le inviavano con buona frequenza, occasionalmente ai guadagni legati al
"mestiere", le serate e le collaborazioni con le riviste degli emigrés;
è anche vero che si trattava di mantenere con queste risorse faticosamente raggranellate
una famiglia di quattro persone, visto che i guadagni di Sergej furono per lungo tempo
irrisori anche rispetto a quelli della moglie. E tuttavia anche di questa sua concreta
condizione Marina ne aveva fatto un mito che deliberatamente alimentava. In quegli anni
non si limitò a pulire e rammendare, a svolgere il suo ruolo di moglie e madre soltanto:
scrisse; frequentò convegni letterari, scrittori famosi, tenne serate di poesia ed
intervenne ad altre serate di gruppo; quando poteva, portava la famiglia in vacanza al
mare o in montagna.
Traduzione di Serena Vitale, note rielaborate sul testo di S.Karlinsky