Pietro A. Zveteremich

Aggiornata il 29 Maggio 2009  •  1 Commenti

Gli eredi di Bobok


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Sono trascorsi più di tre lustri dall'esordio di Limonov nel scamizdat in Russia e otto anni dalla pubblicazione a New York della sua raccolta di poesie (65) e del suo romanzo Èto jo - Èdicka (66) [It's me - Eddie | Questo sono io, Edicka] e ancora la sua opera, o almeno una parte di essa, fa scandalo ed egli è guardato da molti con sospetto. Lo scandalo è per i pronunciamenti politici e sessuali. Lo spiega Aksenov nel recente articolo più sopra citato: « ...quando, in una fase erostratica, cominci a leccare... al colonnello Gheddafi, intorno a te nasce il disgusto » (67). Ma la cosa è d'antica data: già nel '79 il direttore della rivista « Vremja i my » scriveva sul quotidiano russo di New York: « ... Davanti a noi c'è semplicemente un uomo caduto in basso, che, contorcendosi nella pornografia e in deliri mezzo trotskisti, nell'odio verso la Russia e verso l'Occidente, cerca di presentarsi come una personalità... Un moncone morale che spunta fuori dalle viscere di New York » (68). « Tutto ciò non ha alcuna attinenza alla letteratura » (69) - scrisse A. Bachrach (Bacherac), già amico di Belyj e segretario di Bunin. Nel primo '900 egli giocava bambino con la zia del sottoscritto, apparteneva a un'altra epoca: lo si può capire. Stupisce invece la sordità di un A. Glezer, che fa il patron dell'arte d'avanguardia russa e poi così sentenzia: « l'opera 'artistica' prosovietica-pornografica di Limonov » (70). Cose del genere già si lessero a suo tempo in Francia e in America per Henry Miller, per Genét, per Burroughs, che poi sono entrati nella storia della letteratura e nelle enciclopedie. Tutto dipende dalla qualità della scrittura, dalla verità del'opera, ma chi non ha 'organo' per sentire se questo c'è o non c'è, coglie soltanto ciò ch'è più apparente; se poi, come nel caso degli eredi di Bobok - tra i quali, dopo Erofeev, con Jur'enen, Aleskovskij e altri già citati, c'è Limonov -, si trova di fronte a un esemplare della letteratura del denudamento, a oggetti che sono ostici per il gusto comune, anziché semplicemente ritrarsene nauseato, come farebbe un europeo davanti a un piatto di locuste o di termiti, addita al pubblico ludibrio chi glielo offre, investendolo di strida e contumelie. Di chi mena scandalo fu detto « vede la pagliuzza... », e Dostoevskij ai russi: « Già da tempo ho cominciato a notare che nella letteratura russa la parola 'porco' ha sempre un particolare e, parrebbe, perfino mistico significato: già il nonnino Krylov, rendendosene conto, usava questa paroletta nei suoi apologhi con particolare effetto. Il letterato che legge, perfino in solitudine e per suo conto, immediatamente sussulta e subito comincia a domandarsi: 'Non sarò io? non l'avranno scritta per me?' » (71).
« Ti mostrerai nudo - scrisse Dostoevskij nel 1873 - oppure, ancor meglio, mostrerai qualche tuo posto segreto, ma nudo... Nudo, ossia completamente senza il minimo indumento e chiunque paghi potrà guardarti nei tuoi reconditi [e repugnanti] particolari » (72). L'ipotesi del grande russo, peraltro così conseguente con la poetica del suo Bobok, ha trovato in senso letterale una risposta nel romanzo Èto ja - Edicka: « Ansimando per il caldo m'abboffo nudo sul balcone. Non m'imbarazzano queste persone che non conosco, negli offices, né i loro occhi. Certe volte anche appendo a un chiodo piantato nel telaio della finestra un piccolo transistor verde a batteria, che mi ha donato Aleska Slavkov, un poeta che sta per farsi gesuita. Rendo allegra l'alimentazione con la musica. Preferisco una stazione in spagnolo. Io non sono uno che si vergona. Sovente passeggio nella mia stanza poco profonda col culo nudo e col membro pallido sullo sfondo del resto del mio corpo; e me n'infischio se mi vedono o non mi vedono: i clercs, le segretarie e i managers. Vorrei anzi che mi vedessero. Di certo si sono già abituati a me e forse si annoiano quando non esco sul mio balcone. Credo che mi chiamino « quel crazy là di fronte » (73).
Da questo suo balcone sulla Madison Avenue d'un hotel per migranti e falliti Limonov scende nel tunnel di New York, dove incontra balordi, ladri, artisti, milionari, poeti, fotografi, estremisti, modelle e modelli, disperati, falliti, giornalisti, negri e portoricani, molte donne e con tutti si mischia, dialoga, coita, discute, campando alla meglio di lavori saltuari e casuali, ma molto pensando a soddisfare con il corpo come con la mente la propria voglia di vita. E non importa se questo gli riesce di rado, se mangia quando può, se nei bassifondi notturni rischia di venir accoltellato e nei quartieri alti lo considerano poco più che un mendicante, se i giornali lo respingono e lo perseguita il lacerante ricordo di sua moglie Elena che l'ha lasciato per un milionario.
In questa nuova emarginazione rammenta la Russia e le proprie origini: « ...così, vicino alla mia balera, nella ressa di ragazzi e ragazze, in gran parte delinquenti, perché così era il nostro quartiere, io mi sentivo magnificamente. Nel nostro quartiere c'erano case i cui inquilini maschi erano tutti in prigione. Andavano dentro i padri, i fratelli maggiori, poi i minori: i miei coetanei. Potrei ricordare decine di nomi di ragazzi condannati alla pena suprema: la fucilazione. E il numero dei ragazzi condannati a 10-15 anni era anch'esso notevole. La gioventù nera e non nera nella 42ma mi ricordava la mia balera, i miei amici chuligany (74), banditi e ladri. Non dico queste parole con una sfumatura d'estraneità, no. Inoltre la maggioranza di quei ragazzi di Char'kov che si affollavano presso la balera, come questi della 42ma, non erano naturalmente chuligany e banditi, ma normali adolescenti - ragazzi e ragazze - che nella loro età di transizione volevano un po' darsi un tono. In Russia li chiamavano blatnye. Non erano dei veri criminali, ma le loro maniere, abitudini, comportamento, abbigliamento imitavano le maniere, le abitudini, il comportamento e il modo di vestire dei veri malviventi. Qui era lo stesso «... « ... Non dimenticate in quale ambiente io sono cresciuto e mi sono formato. In un ambiente in cui l'amore e il sangue stavano accanto, il tradimento era a un soffio dal pugnale. Adesso ero seduto su quello sgabello e pensavo che i miei ragazzi, i miei amici, che marcivano nei lager per i loro reati comuni, i banditi e i ladri di Char'kov, adesso mi avrebbero disprezzato come un misero straccio: « Te l'hanno portata via, e tu , puttana, non hai nemmeno piantato un coltello nelle costole del fraer (75), chiunque ne ha voglia la scopa, lei succhia i c... a tutti, e tu, puttana, ti sei lasciato, sporcare l'anima tua, coglione, vigliacco intellellettuale del c....! » (76).
« Vado - racconta - per le roventi strade della New York d'estate con un sorriso. Il mio sorriso è destinato a tutti... Vado, facendo ondeggiare le anche, strette nei pantaloni aderenti. Le mie mani e il mio petto nudo sono abbronzati e lisci. Sono vestito tutto di bianco e le piante dei miei piedi sono scoperte, solo in un punto traversate dalle cinghie degli zoccoli. Uomo e donna insieme, io cammino sui tacchi. Vado, mi muovo. Mi guardano. Io entro in contatto con qualsiasi esemplare della razza umana, che soltanto manifesti interesse e attenzione per me, mi dica una parola o mi risponda con un sorriso. La mia anima e il mio corpo sono per tutti. Io vado con voi dove volete: negli oscuri quartieri del West-Side o nei ricchi appartamenti della Park Avenue... Io non voglio lavorare, avere un nome e una professione. Io lavoro con voi. Sono stato inviato in queste strade e vivo su di esse, ci sto di casa. E voi potete incontrarmi e dirmi: « Salve, Èdicka »! E io risponderò: « Salve, caro »! Certe volte mi sembra di togliere dagli altri una maledizione quando li carezzo, d'essere stato mandato da qualcuno dall'alto a tale scopo. Vado e vado nell'afosa atmosfera rossastra. Vado e rammento i versi di Apollinaire: « Barcollando per le vie di Colonia, a tutti accessibile e pur così chérie... ». Un sole grasso inonda le vie della mia Grande Città. Io non ho fretta... E le giornate, come morbide onde, scavalcano il mio corpo. Un'onda dopo l'altra, tiepide. E la mattina io mi sveglio con un sorriso felice » (77).
È il viaggio attraverso New York, dentro il suo tunnel, le sue viscere, ma sono in realtà le proprie viscere che il personaggio di Limonov rivolta, manipola, estrae e scaraventa fuori: le viscere dell'anima. E la sua confessione non si ferma di fronte a nulla, arriva alla sincerità dei più intimi recessi, fino all'improntitudine, alla scurrilità. Ma osserva Maramzin: « Il personaggio che esce dalla narrazione di Limonov esiste, noi lo conosciamo benissimo, esiste dal basso all'alto, qua e là [in Russia]... Nell'eroe di Limonov c'è tuttavia una specialità: il suo è l'uomo russo del sottosuolo. Se lo raffrontiamo con il progressista anti-russo o con il giovane arrabbiato occidentale, vediamo la differenza. L'uomo russo del sottosuolo non se la prende per degli idoli del giorno. Egli se la prende a causa dei valori veri: il bene, la fede, la bellezza, la stabilità della vita. Forse lui solo oggi sente che tutte queste cose continuano a esistere, altrimenti perché dovrebbe prendersela? Lui sa perfino dove precisamente. Dal suo sottosuolo si vede più lontano in alto che dalle nostre posizioni sicure. E' così facile vedere in trasparenza i testi di Limonov e nessuno deve lasciarsi fuorviare né dai suoi tentativi di provocarci, né dal suo procedimento d'esaltazione del male. L'eroe di Limonov sente in modo sorprendentemente profondo che oggi i1 male allo stato puro non esiste... Egli capisce perfettamente che il male oggi assume forme stranamente semplici. La nostalgia di Limonov per il puro male è in sostanza una nostalgia di puro bene » (78).
Si sono volute riportare queste considerazioni di Maramzin per la massima attendibilità che esse traggono dal fatto che anch'egli è russo e scrittore e critico; ma c'è da aggiungere che, come sempre, ciò che fa un testo è la qualità della scrittura: Limonov la possiede. A questo proposito, in mezzo alla disputa se Limonov fosse o meno da prendersi in considerazione, un critico rigoroso e attentissimo come Losev ha voluto dire la su parola: « egli ha il senso dello stile, e talvolta affascinante. A mio parere, l'unica cosa per cui si deve giudicare Limonov-scrittore è il fatto che non domina la struttura dell'insieme »(79). L prosa di Limonov è ancora infatti in molti casi la prosa d'un poeta, ovvero con la tipica alternanza di illuminazioni e di opacità; manca a volte la durata e ne soffre il racconto anche se sempre poi si riscatta con nuova verginità. Intendiamoci, non è prosa « letteraria », nel senso più ovvio del termine: del bello scrivere « pulito ». No, Limonov scrive « sporco », usando come gli americani di on the road o comunque li si voglia chiamare, il linguaggio della strada, dei sobborghi, le maleparole, talvolta lo slang americano e il zargon (che è poi sempre slang) russo, innestando l'uno sull'altro i due, così come s'innestano o si sovrappongono nel suo racconto e nel suo personaggio i due diversi mondi ai quali egli fa con forza sentire al lettore d'appartenere con tutta la contraddittorietà e la scissione della personalità che ciò comporta. Eppure la sua resta la prosa d'un poeta, e inoltre anche una prosa candida, a volte dolorante, dove prevalgono i toni sommessi, dove il grido che non di rado egli vuole lanciare acuto e vulnerante è invece inerme, quasi reso muto da un'interna disperazione che lo strangola.
Giacché sia in Eto ja - Èdicka, sia nelle altre sue opere di narrativa le cose che si raccontano sono sovente atroci. Se nel primo libro, come s'è detto, l'ambiente è quello di New York e solo talvolta si aprono dei flash-back sull'adolescenza e la giovinezza in Russia, in essa, e precisamente a Char'kov si snoda l'azione del romanzo Podrostok Savenko (80) [L'adolescente Savenko]. Per la prima volta nella letteratura russa si rivela qui in tutta la sua nudità e crudezza lo squallore della vita dei ragazzi e delle ragazze dei sobborghi industriali sovietici: la scuola, il sesso precoce, la noia, l'alcool, la delinquenza, le bande, le rapine, cose tutte poi descritte dal vivo anche da J. Miloslavskij (81). In mezzo a tutto questo Limonov è cresciuto, è vissuto come uno dei tanti, partecipandovi in tutto: fino alle bravate e alla criminalità. Da essa s'è allontanato soltanto quando un suo amico adolescente è stato condannato a morte. Ma da tutto questo è nato anche il poeta Limonov, che alla fine degli anni sessanta divenne un poeta noto nel samizdat mentre, per campare, faceva il sarto clandestino. Era dunque uno dei tanti « bravi ragazzi » dai quali può uscire qualsiasi cosa, come anche Maramzin afferma: « .., da noi governa lo Stato un capitan Lebjadkin elevato al rango di maresciallo. Il 'fallito' Limonov - per caso o no - s'è giocato la possibilità di diventare un generale sovietico... » (82). Un po' per scelta e un po' per mano della Dea Fortuna le cose per Limonov non sono andate così e ce ne danno conto e in parte scoprono le intime motivazioni i due libri di cui s'è parlato e terzo di narrativa: Dnevnik neudacnika ili Sekretnaja tetrad' (83) {Diario d'un fallito ovvero Il quaderno segreto}, tre al volume di liriche del '79 e alle numerose altre apparse su riviste.
Fu nel 1975 che egli venne presentato dal noto poeta Betaki culla importante rivista « Grani » come esponente degli « assurdisti », ossia del gruppo di autori che si richiamano alla corrente degli « Oberiuty », soffocata negli anni trenta. Betaki notava nell'introduzione, che Limonov « è uno di quelli, la cui maniera si appoggia fondamentalmente sulla primitivizzazione della coscienza dell'anti-eroe lirico in nome del quale sono scritti i versi... » (84). Dopo d'allora anche il Limonov-poeta, che non è poi così distante dal Limonov-narratore, ha fatto molta strada. Anche la sua poesia, pur mantenendo la propria giocosità, pur lasciandosi portare dal vento, come il palloncino blu della canzone di Okudzava (85) è carica di pietas e vola in un cielo del tutto contemporaneo e perciò di grande scenografia drammatica: « Dove siete, ragazzi? Chi vi ha vinto? La moglie, il paese, la follia o la vodka? | Uno ha fermato la vita con una corda, | L'altro ha tagliato le vene ed è salpato... » (86). Non forse soltanto per celia Limonov scrisse in una sua lettera: « Nel poema Noi siamo l'eroe nazionale io dimostro del tutto seriamente che io, precisamente io, sono l'eroe nazionale russo tempi d'oggi » (87).
Il Venicka di Erofeev e l'Èdicka di Limonov sono davvero per molti aspetti gli « eroi nazionali russi d'oggi »: essi affrontano continuamente le « questioni ultime » (Bachtin), giungono a toccare quel limite estremo di cui Iosif Brodskij dice che esso « di regola è il pane unico della poesia » (88). Precisamente per questa ragione, tra i numerosi che abbiamo citato degli « eredi di Bobok », si sono voluti distinguere questi due scrittori. Sebbene anche gli altri siano di ottimo livello, è in Erofeev e in Limonov che la « confessione senza ritegno » è fatta di sangue e di carne, brucia di piaghe aperte, il dettato letterario non sostituisce il dramma, bensì lo esalta. Anzi, soprattutto in Erofeev, il procedimento è così magistrale da trasformare in realtà anche l'invenzione: questa è la genialità dello scrittore. I loro eroi sono i discendenti dell'« idiota », il principe Myskin, di Versilov, dell'« uomo ridicolo ». Venicka invoca gli angeli e Dio che lo abbandonano. Edicka pronuncia la medesima invocazione: « Signore! leva le tue mani... | mettile da una parte, levale in alto | e come viaggiando | dimenticami | Così egli fece | Come viaggiando si dimenticò di me... » (89).

(Estratto da “Nuovi Annali della Facoltà di Magistero dell'Università di Messina 4 (1986)

(65) g, Limonov, Russkoe, Ardis, Ann Arbor, 1979, pp. 188.
(66) Cfr. n. 51.
(67) V. Aksenov, ivi.
(68) V. Perel'man in « Novoe Russkoe Slovo », New York, 3.5.1979.
(69) A. Bachrach in « Russkaja Mysl' " Paris, 10.5.1979.
(70) A. Glezer in « Russkaja Mysl' », Paris, 22.3.1979.
(71) F. M. Dostoevskij, Polpis'ma odnogo lica, DPSSN, t. 21, p. 310.
(72) Ivi, pp. 303-304.
(73) E. Limonov, Eto ja - Edicka, op. cit., pp. 7-8.
(74) E' lo hooligan inglese russificato e da tempo in uso con affine significato.
(75) Nel gergo della malavita e dei lager indica chiunque sia fuori del loro mondo.
(76) Ivi, pp. 166-167 e 270.
(77) Ivi, pp. 205-206.
(78) V. Maramzin, Iz podpol'ja zvezdy vidno, « Echo », Pariz, N° 3, 1978, pp. 69-70.
(79) A. Losev, Iz pis'ma, « Echo », Pariz, N° 4, 1978, p. 125.
(80) È. Limonov, Podrostok Savenko, Izd. « Sintaksis », Pariz, 1983, pp. 262.
(81) J. Miloslavskij, Ot suma vsadnikov i strel'kov, Ann Arbor, Ardis, 1984.
(82) V. Maramzin, op. cit., p. 69.
(83) E. Limonov, Dnevnik neudacnika ili Sekretnaja tetrad', Index Publishing, New York, 1982, pp. 250.
(84) V. Betaki, Real'nost' absurda i absurdnost' real'nogo, « Grani », Frankfurt/M., N° 95, 1975, p. 44.
(85) H. Okudzava, Proza i poèzija, Posev, Frankfurt/M., 3a ed. 1968, p.155. In it.: Canzoni russe di protesta (Okudzava, Galic, Vysockij. A cura di P. Zveteremich), Garzanti, Milano, 1972, p. 43.
(86) E. Limonov, Èpocha bessoznanija, « Kontinent », Paris, N. 15, 1980, p.151.
(87) Cfr. Betaki, op.cit., p.44.
(88) I. Brodskij, Predislovie k È. Limonovu, « Kontinent », Paris, N. 1 p. 153. E Brodskij aggiunge: « Limonov è un poeta il quale meglio di molti s'è reso conto che il cammino verso le illuminazioni filosofiche non passa tanto per le tesi e le antitesi, quanto attraverso il linguaggio stesso da cui è tolta ogni superfluità » [ivi].
(89) È. Limonov, Russkoe, op. cit., p. 88.