CVETAEVA, Marina Ivanovna (1892-1941) | [prec.] [22] [succ.] |
Mosca, 30 dicembre 1914, 5 del pomeriggio. La mamma di
Voloshin (Elèna Ottobàl’dovna, che aveva fatto da madrina di nozze a
Marina, e teneva molto al suo matrimonio con Sergej) piglia carta e penna
e scrive all’amica Julija Obolènskaja: “... Che v’ha detto Serjòzha?
Perché state in pensiero per lui? So che dovrebbe rientrare in sanatorio,
ma penso che cambierà di nuovo idea. C’è da avere più paura per
Marina: lì la faccenda s’è fatta seria. Se n’è andata con Sonja,
non so dove, per diversi giorni, e ha tenuto la cosa in gran segreto.
Questa Sonja ha già litigato con l’amica sua, con cui conviveva, e ha
affittato un appartamentino sull’Arbat. Io e Lilja [una delle due
sorelle di Sergej] siamo molto amareggiate, e in pena, per questo, ma
non possiamo far nulla per sciogliere simili malìe...” [1] E’ il Velikij Rostov, gemma dell’Anello d’Oro, a nord-est di Mosca. Era usanza dei ricchi moscoviti passare le festività religiose nei monasteri. Memorabile, al proposito, la pagina di Tolstoj in Padre Sergio. |
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7 Как
весело сиял
снежинками Ваш
— серый, мой —
соболий мех, Как
по
рождественскому
рынку мы Искали
ленты ярче
всех. Как
розовыми и
несладкими Я
вафлями
объелась —
шесть! Как
всеми
рыжими
лошадками Я
умилялась в
Вашу честь. Как
рыжие
поддевки—парусом,
Божась,
сбывали нам
тряпье, Как
на чудных
московских
барышень Дивилось
глупое
бабье. Как
в час, когда
народ
расходится, Мы
нехотя
вошли в
собор, Как
на
старинной
Богородице Вы
приостановили
взор. Как
этот лик с
очами
хмурыми Был
благостен и
изможден В
киоте с
круглыми
амурами Елисаветинских
времен. Как
руку Вы мою
оставили, Сказав:
«О, я ее хочу!» С
какою
бережностью
вставили В
подсвечник —
желтую
свечу... — О,
светская, с
кольцом
опаловым Рука!
— О, вся моя
напасть! — Как
я икону
обещала Вам Сегодня
ночью же
украсть! Как
в
монастырскую
гостиницу —
Гул
колокольный
и закат — Блаженные,
как
имянинницы, Мы
грянули, как
полк солдат. Как
я Вам —
хорошеть до
старости — Клялась
— и просыпала
соль, Как
трижды мне —
Вы были в
ярости! Червонный
выходил
король. Как
голову мою
сжимали Вы, Лаская
каждый
завиток, Как
Вашей
брошечки
эмалевой Мне
губы
холодил
цветок. Как
я по Вашим
узким
пальчикам Водила
сонною
щекой, Как
Вы меня
дразнили
мальчиком, Как я Вам нравилась такой... Декабрь
1914
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7 Come
allegre brillavan di nevischio Le
pellicce (Voi – grigia, io – zibellino), Come
andavamo in cerca al mercatino Di
Natale dei nastri più sgargianti. Come
mi son pacchiata sei babà Ai
petali di rosa, e senza zucchero! Come
m’intenerivo, in Vostro onore, Ai
cavallucci rossi come Voi. Come
rosse poddjovke svolazzanti, [1] Giurando,
ci smerciavano straccetti, Come
stupivan tutte le donnette Di
due strane ragazze moscovite. Come,
nell’ora in cui la gente usciva, Noi
controvoglia entrammo in cattedrale, Come
Vi soffermaste con lo sguardo Sull’antica
Madonna in maestà. Com’era
macilento e affascinante Quel
sacro volto dallo sguardo cupo, Nella
bacheca, in mezzo ai grassi putti Dei
tempi della grande Elisabetta. Come
lasciaste andare la mia mano, Dopo
aver detto: “Oh quanto la desidero!” E
con quale premura poi metteste Sul
candeliere – una candela gialla... —
O mano luminosa, dall’anello D’opale!
— O mia totale — sciagura! Come
promisi a Voi che avrei rubato La
santa icona, quella notte stessa! Come, nella foresteria del
monastero —
Frastuono di campane nel tramonto — Felici
come bimbe all’onomastico Rintronavamo
a passo militare. [2] Come
giurai che Voi sareste stata Sempre
più bella, fin nella vecchiaia, —
e sparsi il sale [3]; e come V’arrabbiaste Perché
m’uscì tre volte il Re di Cuori. Come
abbracciaste stretta la mia testa, Carezzandomi,
tenera, ogni ricciolo, Come
sentii gelare le mie labbra Al
fior di smalto della Vostra spilla. Come
passavo l’assonnata guancia Sopra
i Vostri ditini affusolati, E
come Vi piacevo, quando Voi Come
un ragazzo mi stuzzicavate... [1] Passo oscuro. La poddjovka era la veste tipica dei mercanti di provincia: un’ampia gabbana, serrata in vita con garbo di pieghe e sbuffi da lla cintura. Sineddoche, forse, come i nostri “colletti blu” e “camici bianchi”. [2] Lett.: come un reggimento di soldati. “Eran tre vergini e una grazia sola / E sei piedini in marcia militare” (Campana). [3] A sigillo della profezia. |
L’appartamento di cui parla mammà Voloshina era in vicolo del Pane, a due passi da dove stava Marina, in vicolo Borisoglebskij: un bilocale, camera-studio e cucina-tinello. Nel tinello una scimmietta, tenuta a catena. Le due amiche vi s’incontravano “molto spesso”. A volte Marina ci andava con la figlia, che stravedeva per la scimmietta. Liza Parnok, ospite qualche tempo della sorella, ebbe questa impressione della Cvetaeva: Un caratterino! Roba dell’altro mondo! Il corpo flessuoso e slanciato, da giovanotto; viso tondo, capelli biondi – in contrasto con le mani: grosse, da manovale, zeppe d’anelli e catenine d’argento, bigiotteria di zingari; modi di fare e di pensare da maschio”. “Una volta – racconta ancora Liza – Marina, Sonja e Vera Inber’ giocarono a leggersi il futuro, pescando a caso in un libro di versi. A Marina sortì la parola plaha [patibolo]”.
Traduzione e note dal russo di F. Gabbrielli.