Pietro A. Zveteremich
Dostoievski progressivo?
Nell'articolo "Il pubblico rinnova il teatro" apparso sul n.12 di "Vie Nuove" leggo quanto segue: "Nell'Unione Sovietica oggi le opere di Dostoievski sono comprese e amate da tutto il popolo, perchè il popolo russo oggi è aperto alla comprensione storica-nazionale di Dostoievski, il quale, in questo senso è visto come [l'artista e il pensatore che vede l'inizio della rivoluzione sotterranea, della rivoluzione dello spirito degli uomini, nello spirito del popolo (Berdiaiev). O, meglio, come l'espressione artistica più alta e compiuta di un periodo storico che assiste al disastro di tutti i tentativi anarchici della "intellighenzia" russa e che prepara attraverso il movimento populista l'emancipazione rivoluzionaria dallo zarismo... Il popolo russo oggi ama e stima Dostoievski come tutto quanto di progressivo, generoso e bello c'è nella sua storia nazionale...]"
Dalle asserzioni contenute nell'articolo di Puccini deriva che Dostoievski sarebbe stato uno scrittore progressivo, che ha operato in direzione rivoluzionaria nella cultura russa del sec. XIX. Ma a chi ha dato vita alla cultura russa, e cioè il popolo russo di ieri e di oggi, come a chiunque almeno ne conosca le fondamentali correnti di pensiero, un'enunciazione del genere è assolutamente inaccettabile. La verità è che Dostoievski, eccetto l'episodio giovanile della sua appartenenza al circolo Petrascevski, nella sua attività di narratore e pubblicista ebbe sempre un atteggiamento di aperta ostilità alle idealità socialiste che agitavano allora la parte più avanzata del popolo russo, un atteggiamento che si rifaceva alle tesi reazionarie della corrente slavofila e al misticismo religioso. E ben si sa quale importanza abbiano in Dostoievski scrittore i principi filosofici espressi attraverso i suoi personaggi per poter sottovalutare il carattere antiprogressivo che l'opera di lui assunse per il popolo russo, oppresso dallo zarismo e impregnato in una lotta senza tregua per la libertà e la giustizia sociale.
E' vero che, in quanto grande artista, intravide qualcosa di ciò che attendeva l'umanità, ma le sue previsioni rivoluzionarie sono fatte in senso negativo, come uno spauracchio, una minaccia da cui l'umanità avrebbe potuto salvarsi solo sul terreno del misticismo religioso.
Non posso perciò condividere l'asserzione del compagno Dario Puccini che oggi nell'URSS si guardi a Dostoievski come si guarda a quanto c'è di progressivo nella storia nazionale russa, come se lui e non altri (dal Pusckin a Gorki, da Bielinski a Saltykov) fosse stato l'esponente della cultura rivoluzionaria-democratica della Russia del secolo XIX. Ciò non corrisponde alla verità, perchè se Dostoievski è oggi letto e studiato nella Russia sovietica, ci si guarda tuttavia dall'attribuirgli meriti e qualità che mai ebbe.
Ma Puccini commette un errore più grave quando, a riprova di queste sue affermazioni e come testimone in nome del popolo sovietico del carattere progressivo di Dostoievski, cita il filosofo Berdiaiev. Chi fu Berdiaiev? Un rinnegato del marxismo, passato molti anni prima della Rivoluzione d'Ottobre all'idealismo mistico, che di Dostoievski si servì precisamente come una piattaforma per le proprie speculazioni antimarxiste.
Citare Berdiaiev quale interprete del pensiero del Paese del socialismo, lui che neppure ci visse , è ciò che banalmente si dice una cosa che non sta nè in cielo nè in terra. Vuol dire, insomma, far passare una cosa per un'altra.
Queste le inesattezze, a mio parere, in cui è incorso il compagno Dario Puccini, forse trascinato dal suo entusiasmo per la rappresentazione di "Delitto e castigo" ai lavoratori romani. Ma a questo punto sia lecito esprimere un dubbio sulle sue conclusioni ottimistiche circa la utilità di rappresentazioni del genere per l'elevaizone del livello culturale del popolo.
E' proprio sicuro il compagno D. Puccini che le discussioni di intonazione religiosa suscitate da questa rappresentazione nelle menti semplici di quei lavoratori siano positive, servano a meglio orientarli di fronte ai problemi della vita e della cultura? Non ritiene piuttosto che sarebbe assai più augurabile presentare al popolo la produzione teatrale in cui sono agitate e sviluppate le idee progressive del nostro tempo?
Altro discorso naturalmente è se si vuole "comunque" far conoscere il buon teatro alle masse. Ma non si trasferisca il carattere progressivo di questo fatto (che il popolo lavoratore possa andare a teatro) col contenuto delle opere rappresentate. Altrimenti di questo passo anche Sartre (che L. Visconti annuncia in questa stagione) diventerà uno scrittore e un "pensatore" altamente "progressivo".
Devo ancora aggiungere, e poi termino, perchè chi vuol rettificare è sempre tedioso, che non sono d'accordo con Puccini quando afferma che il valore dell'atteggiamento dei lavoratori verso il teatro sta nel fatto che essi ci andrebbero "per svago, per festeggiare le ore libere". Non è stato proprio Lenin a dire che l'arte ha un compito educativo, deve aiutare gli uomini a scegliere la strada giusta, e che in questo senso guarda all'arte il proletariato, mentre è la borghesia che cercava e cerca nell'arte solo "svago", divertimento, e per ciò stesso la uccide?
Dalle asserzioni contenute nell'articolo di Puccini deriva che Dostoievski sarebbe stato uno scrittore progressivo, che ha operato in direzione rivoluzionaria nella cultura russa del sec. XIX. Ma a chi ha dato vita alla cultura russa, e cioè il popolo russo di ieri e di oggi, come a chiunque almeno ne conosca le fondamentali correnti di pensiero, un'enunciazione del genere è assolutamente inaccettabile. La verità è che Dostoievski, eccetto l'episodio giovanile della sua appartenenza al circolo Petrascevski, nella sua attività di narratore e pubblicista ebbe sempre un atteggiamento di aperta ostilità alle idealità socialiste che agitavano allora la parte più avanzata del popolo russo, un atteggiamento che si rifaceva alle tesi reazionarie della corrente slavofila e al misticismo religioso. E ben si sa quale importanza abbiano in Dostoievski scrittore i principi filosofici espressi attraverso i suoi personaggi per poter sottovalutare il carattere antiprogressivo che l'opera di lui assunse per il popolo russo, oppresso dallo zarismo e impregnato in una lotta senza tregua per la libertà e la giustizia sociale.
E' vero che, in quanto grande artista, intravide qualcosa di ciò che attendeva l'umanità, ma le sue previsioni rivoluzionarie sono fatte in senso negativo, come uno spauracchio, una minaccia da cui l'umanità avrebbe potuto salvarsi solo sul terreno del misticismo religioso.
Non posso perciò condividere l'asserzione del compagno Dario Puccini che oggi nell'URSS si guardi a Dostoievski come si guarda a quanto c'è di progressivo nella storia nazionale russa, come se lui e non altri (dal Pusckin a Gorki, da Bielinski a Saltykov) fosse stato l'esponente della cultura rivoluzionaria-democratica della Russia del secolo XIX. Ciò non corrisponde alla verità, perchè se Dostoievski è oggi letto e studiato nella Russia sovietica, ci si guarda tuttavia dall'attribuirgli meriti e qualità che mai ebbe.
Ma Puccini commette un errore più grave quando, a riprova di queste sue affermazioni e come testimone in nome del popolo sovietico del carattere progressivo di Dostoievski, cita il filosofo Berdiaiev. Chi fu Berdiaiev? Un rinnegato del marxismo, passato molti anni prima della Rivoluzione d'Ottobre all'idealismo mistico, che di Dostoievski si servì precisamente come una piattaforma per le proprie speculazioni antimarxiste.
Citare Berdiaiev quale interprete del pensiero del Paese del socialismo, lui che neppure ci visse , è ciò che banalmente si dice una cosa che non sta nè in cielo nè in terra. Vuol dire, insomma, far passare una cosa per un'altra.
Queste le inesattezze, a mio parere, in cui è incorso il compagno Dario Puccini, forse trascinato dal suo entusiasmo per la rappresentazione di "Delitto e castigo" ai lavoratori romani. Ma a questo punto sia lecito esprimere un dubbio sulle sue conclusioni ottimistiche circa la utilità di rappresentazioni del genere per l'elevaizone del livello culturale del popolo.
E' proprio sicuro il compagno D. Puccini che le discussioni di intonazione religiosa suscitate da questa rappresentazione nelle menti semplici di quei lavoratori siano positive, servano a meglio orientarli di fronte ai problemi della vita e della cultura? Non ritiene piuttosto che sarebbe assai più augurabile presentare al popolo la produzione teatrale in cui sono agitate e sviluppate le idee progressive del nostro tempo?
Altro discorso naturalmente è se si vuole "comunque" far conoscere il buon teatro alle masse. Ma non si trasferisca il carattere progressivo di questo fatto (che il popolo lavoratore possa andare a teatro) col contenuto delle opere rappresentate. Altrimenti di questo passo anche Sartre (che L. Visconti annuncia in questa stagione) diventerà uno scrittore e un "pensatore" altamente "progressivo".
Devo ancora aggiungere, e poi termino, perchè chi vuol rettificare è sempre tedioso, che non sono d'accordo con Puccini quando afferma che il valore dell'atteggiamento dei lavoratori verso il teatro sta nel fatto che essi ci andrebbero "per svago, per festeggiare le ore libere". Non è stato proprio Lenin a dire che l'arte ha un compito educativo, deve aiutare gli uomini a scegliere la strada giusta, e che in questo senso guarda all'arte il proletariato, mentre è la borghesia che cercava e cerca nell'arte solo "svago", divertimento, e per ciò stesso la uccide?
Pietro Zveteremich
“Vie Nuove” n. 14, 22.12.1946.