Pietro A. Zveteremich
Gorki e il terremoto di Messina del 1908
Fra le numerose - e alcune anche importanti - iniziative attuate per commemorare l'80° anniversario dell'apocalittico terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908, c'è una pubblicazione che merita d'essere segnalata per la sua novità. Si tratta dei due volumi delle edizioni G.B.M. di Messina, raccolti in un cofanetto sotto il comune titolo "Ventotto Dicembre". Fu tra la notte e l'alba di quel giorno, alle 5,21, che avvenne la tragedia. La terra sussultò, il mare si ritirò e poi si avventò con immane violenza su di essa: Messina, Reggio, Villa, Bagnara e altre località minori crollarono in macerie e cambiarono volto per sempre.
Naturalmente già vi furono e recentemente ancora si sono avute varie pubblicazioni e mostre a documentazione di quell'evento e delle sue disastrose conseguenze, ma l'originalità dell'iniziativa editoriale messinese è data dall'aver coniugato il libro del tutto inedito e sconosciuto in Italia di uno scrittore russo invece notissimo, Maksim Gorki, con un'ampia illustrazione fotografica del prima e dopo il terremoto.
Questa ricca parte documentaria, scelta e organizzata con cognizione di causa da Giovanni Molonia, costituisce il primo volume col titolo "Itinerario fotografico", mentre l'inedito gorkiano col suo titolo originale "Il terremoto in Calabria e Sicilia", anch'esso arricchito di fotografie come lo era nelle sue edizioni del 1909 in tedesco e in russo, forma il secondo volume. Con una felice trovata grafica la G.B.M., che tiene assai all'apparenza, riporta anche il fac-simile della copertina dell'edizione russa per i tipi della nota "Znanie" di Pietroburgo. E' dunque per i lettori italiani, che di Gorki hanno potuto leggere praticamente già tutto in traduzione e a Catania assistono spesso alle meditate messe in scena del regista Sequi, una piccola sorpresa: forse anche qualcosa in più.
Il lettore, infatti - e specialmente il lettore siciliano - rivede in questo vivido racconto quel memorabile avvenimento con gli occhi di uno straniero di un Paese e d'una civiltà tanto distanti, e, in questa "altra" visione di luoghi e uomini che sono a lui così familiari, si accorge di percepire una duplice sensazione: di estraniamento e poi di subitaneo riconoscimento delle cose sotto nuova luce. Seguono poi nel lettore l'identificazione e la scoperta della comunanza di umanità e cultura in un autore d'origine e formazione cosi diverse.
Molti forse si chiederanno come mai Gorki abbia scritto addirittura un libro sul terremoto di Messina e Reggio. Lo spiega, nella sua documentata introduzione, Fabio Mollica, il quale ha curato anche l'efficace traduzione, forse, a nostro parere, talvolta disinvolta rispetto all'originale. Ma c'è da dire che quest'ultimo soffre un po' del gusto letterario dell'epoca e di certi gongorismi deteriori, che notò già un critico russo dell'epoca, più severo perfino del poeta Aleksandr Blok, il quale pure recensì l'opera guardando invece al suo vigore narrativo.
La traduzione preferisce smussare certi momenti stilistici forzati e stonati.
Va però ricordato pure qui che Gorki fu mosso a scrivere dell'evento perché allora viveva a Capri durante il primo dei suoi lunghi esili politici: 1906-1913 per sottrarsi al regime dello Zar; 1921-1933 per sottrarsi al regime di Lenin-Stalin, che poi lo sedusse e lo uccise. Alla prima notizia del terremoto, egli accorse sul posto, si prodigò nei soccorsi e organizzò in Russia una raccolta di fondi. Per questo fece pubblicare il libro, che raggruppa lo scritto suo e un altro del suo amico W. Meyer, non meno ricco e umano come racconto, ma contenente anche interessanti osservazioni scientifiche sui fenomeni sismici. In questa veste l'opera uscì in Russia e in Germania corredata da fotografie di Brogi e Angelis, il quale ultimo era un messinese.
L'edizione italiana omette lo scritto del Meyer(*), in cui, oltre a considerazioni originali di notevole interesse, troviamo anche moniti che ancor oggi dovrebbero esser meditati. Egli nota che l'unico vantaggio offerto da simili disastri è di poter ricostruire meglio le città. Mancava però allora quella cultura urbanistica, già in parte presente nel Nordeuropa, che avrebbe evitato lo scempio futuro. Il crollo della pur storica ma degradata "Palazzata" avrebbe suggerito un arretramento delle opere e un lungomare attrezzato per il godimento degli abitanti e viaggiatori in luogo dell'orrenda muraglia di cemento e della obbligata "camionabile", che sbarrano alla cittá il mare invece di farglielo abbracciare. Messina in questo avrebbe potuto surclassare Sanremo e rivaleggiare con Nizza.
Meyer sottolinea inoltre l'imprevidenza di ieri con questa puntuale precisazione dei termini del problema: "Sono già passati 125 anni da quando la città fu distrutta da un forte terremoto simile all'attuale. I suoi abitanti sono stati avvertiti del pericolo che costantemente li minaccia; viene loro consigliato di costruire edifici più affidabili. La scienza e la tecnica, che sono state particolarmente sviluppate a questo riguardo in Giappone, hanno da tempo elaborato determinate norme, e queste norme sono rigorosamente osservate in quell'estremo Oriente che noi invece continuiamo a guardare come al solito dall'alto. Ma gli spensierati italiani del Meridione non fanno mai caso ad alcun avvertimento. Ed ecco una sciagura che non ha nome ed è il risultato di questa leggerezza".
Gorki, da buon russo, non si spinge a simili pur giusti biasimi. Scriveva sull'"Avanti" del 17 gennaio 1909: "Così lavorare e così vivere, come visse e lavorò dopo la tragedia di Messina e della Calabria tutta la massa del popolo italiano, può farlo solo una grande nazione, una nazione davvero colta".
Eppure egli aveva visto tutto da vicino, tuffandosi nel caos della catastrofe. Lo ricorda anche A. Tamborra nel suo bel libro "Esuli russi in Italia" (Laterza, 1977) quando scrive che "...l'atteggiamento di Gorki (e del suo amico Meyer) non fu quello del semplice testimone, pronto a scrivere il proprio pezzo di bravura da inviare al giornale. Al contrario, essi si rimboccarono le maniche...". E ciò fu notato anche da non pochi che ne scrissero in Italia (R. Bracco, G. Cena, P. Villari) e in Russia (V. Korolenko, I. Romanov, I. Babel), etcetera. Ma in lui sempre prevalsero la commozione e l'ammirazione di fronte all'Italia, dove invano sognò di tornare definitivamente dopo il 1934, quando infine comprese Stalin che, comprendendo benissimo che lo scrittore aveva capito, gli impedì da allora di uscire dalla Russia. Nel 1909 Gorki concludeva cosi il suo libro: "L'Italia è gravemente ferita, ma la sua anima è viva: nei giorni del dolore nazionale essa ha mostrato al mondo prodigi di coraggio e amore; e luminosamente ardeva in quei giorni la fiaccola del nobile spirito democratico degli italiani!".
Naturalmente già vi furono e recentemente ancora si sono avute varie pubblicazioni e mostre a documentazione di quell'evento e delle sue disastrose conseguenze, ma l'originalità dell'iniziativa editoriale messinese è data dall'aver coniugato il libro del tutto inedito e sconosciuto in Italia di uno scrittore russo invece notissimo, Maksim Gorki, con un'ampia illustrazione fotografica del prima e dopo il terremoto.
Questa ricca parte documentaria, scelta e organizzata con cognizione di causa da Giovanni Molonia, costituisce il primo volume col titolo "Itinerario fotografico", mentre l'inedito gorkiano col suo titolo originale "Il terremoto in Calabria e Sicilia", anch'esso arricchito di fotografie come lo era nelle sue edizioni del 1909 in tedesco e in russo, forma il secondo volume. Con una felice trovata grafica la G.B.M., che tiene assai all'apparenza, riporta anche il fac-simile della copertina dell'edizione russa per i tipi della nota "Znanie" di Pietroburgo. E' dunque per i lettori italiani, che di Gorki hanno potuto leggere praticamente già tutto in traduzione e a Catania assistono spesso alle meditate messe in scena del regista Sequi, una piccola sorpresa: forse anche qualcosa in più.
Il lettore, infatti - e specialmente il lettore siciliano - rivede in questo vivido racconto quel memorabile avvenimento con gli occhi di uno straniero di un Paese e d'una civiltà tanto distanti, e, in questa "altra" visione di luoghi e uomini che sono a lui così familiari, si accorge di percepire una duplice sensazione: di estraniamento e poi di subitaneo riconoscimento delle cose sotto nuova luce. Seguono poi nel lettore l'identificazione e la scoperta della comunanza di umanità e cultura in un autore d'origine e formazione cosi diverse.
Molti forse si chiederanno come mai Gorki abbia scritto addirittura un libro sul terremoto di Messina e Reggio. Lo spiega, nella sua documentata introduzione, Fabio Mollica, il quale ha curato anche l'efficace traduzione, forse, a nostro parere, talvolta disinvolta rispetto all'originale. Ma c'è da dire che quest'ultimo soffre un po' del gusto letterario dell'epoca e di certi gongorismi deteriori, che notò già un critico russo dell'epoca, più severo perfino del poeta Aleksandr Blok, il quale pure recensì l'opera guardando invece al suo vigore narrativo.
La traduzione preferisce smussare certi momenti stilistici forzati e stonati.
Va però ricordato pure qui che Gorki fu mosso a scrivere dell'evento perché allora viveva a Capri durante il primo dei suoi lunghi esili politici: 1906-1913 per sottrarsi al regime dello Zar; 1921-1933 per sottrarsi al regime di Lenin-Stalin, che poi lo sedusse e lo uccise. Alla prima notizia del terremoto, egli accorse sul posto, si prodigò nei soccorsi e organizzò in Russia una raccolta di fondi. Per questo fece pubblicare il libro, che raggruppa lo scritto suo e un altro del suo amico W. Meyer, non meno ricco e umano come racconto, ma contenente anche interessanti osservazioni scientifiche sui fenomeni sismici. In questa veste l'opera uscì in Russia e in Germania corredata da fotografie di Brogi e Angelis, il quale ultimo era un messinese.
L'edizione italiana omette lo scritto del Meyer(*), in cui, oltre a considerazioni originali di notevole interesse, troviamo anche moniti che ancor oggi dovrebbero esser meditati. Egli nota che l'unico vantaggio offerto da simili disastri è di poter ricostruire meglio le città. Mancava però allora quella cultura urbanistica, già in parte presente nel Nordeuropa, che avrebbe evitato lo scempio futuro. Il crollo della pur storica ma degradata "Palazzata" avrebbe suggerito un arretramento delle opere e un lungomare attrezzato per il godimento degli abitanti e viaggiatori in luogo dell'orrenda muraglia di cemento e della obbligata "camionabile", che sbarrano alla cittá il mare invece di farglielo abbracciare. Messina in questo avrebbe potuto surclassare Sanremo e rivaleggiare con Nizza.
Meyer sottolinea inoltre l'imprevidenza di ieri con questa puntuale precisazione dei termini del problema: "Sono già passati 125 anni da quando la città fu distrutta da un forte terremoto simile all'attuale. I suoi abitanti sono stati avvertiti del pericolo che costantemente li minaccia; viene loro consigliato di costruire edifici più affidabili. La scienza e la tecnica, che sono state particolarmente sviluppate a questo riguardo in Giappone, hanno da tempo elaborato determinate norme, e queste norme sono rigorosamente osservate in quell'estremo Oriente che noi invece continuiamo a guardare come al solito dall'alto. Ma gli spensierati italiani del Meridione non fanno mai caso ad alcun avvertimento. Ed ecco una sciagura che non ha nome ed è il risultato di questa leggerezza".
Gorki, da buon russo, non si spinge a simili pur giusti biasimi. Scriveva sull'"Avanti" del 17 gennaio 1909: "Così lavorare e così vivere, come visse e lavorò dopo la tragedia di Messina e della Calabria tutta la massa del popolo italiano, può farlo solo una grande nazione, una nazione davvero colta".
Eppure egli aveva visto tutto da vicino, tuffandosi nel caos della catastrofe. Lo ricorda anche A. Tamborra nel suo bel libro "Esuli russi in Italia" (Laterza, 1977) quando scrive che "...l'atteggiamento di Gorki (e del suo amico Meyer) non fu quello del semplice testimone, pronto a scrivere il proprio pezzo di bravura da inviare al giornale. Al contrario, essi si rimboccarono le maniche...". E ciò fu notato anche da non pochi che ne scrissero in Italia (R. Bracco, G. Cena, P. Villari) e in Russia (V. Korolenko, I. Romanov, I. Babel), etcetera. Ma in lui sempre prevalsero la commozione e l'ammirazione di fronte all'Italia, dove invano sognò di tornare definitivamente dopo il 1934, quando infine comprese Stalin che, comprendendo benissimo che lo scrittore aveva capito, gli impedì da allora di uscire dalla Russia. Nel 1909 Gorki concludeva cosi il suo libro: "L'Italia è gravemente ferita, ma la sua anima è viva: nei giorni del dolore nazionale essa ha mostrato al mondo prodigi di coraggio e amore; e luminosamente ardeva in quei giorni la fiaccola del nobile spirito democratico degli italiani!".
Pietro Zveteremich
da "La Sicilia" del 23/3/1989.
(*)N.d.R.: la nuova edizione del 2005 sempre per i tipi GBM include anche lo scritto succitato di W.Meyer.
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