Pietro A. Zveteremich
Era uscito dal labirinto
Morto a Mosca l’uomo che conosceva tutti i retroscena del patto Stalin-Hitler
E’ morto a Mosca E. Gnedin. Questo nome nulla dice ai più, ma egli fu il testimone, la vittima e il vincitore morale di un’epoca. La sua vita comincia con la gestazione del comunismo, nello stesso suo grembo, e termina con l’abiura dell’Urss, da quanto essa impersona come consunzione totale di quell’idea e sua metamorfosi in falsa coscienza del proprio imperialismo.
Era nato a Dresda nel 1898, figlio del celebre teorico e politico russo-tedesco Helphand-Parvus, il cervello marxista in assoluto più preparato e sollecitante a cavallo dei due secoli, oltre che il realizzatore della «bomba Lenin» per la pace separata della Russia con la Germania nella prima guerra mondiale. Dopo l’infanzia in Germania, dov’era vezzeggiato da Luisa Kautsky e da Rosa Luxemburg, il figlio Lazar’, detto Ženja, rimpatriò nel 1905 a Odessa con la madre divorziata da Parvus. Crebbe in Russia, credette nella rivoluzione di Lenin, ne divenne fervente seguace tanto da assumere il cognome di Gnedin, rinnegando quello del padre condannato all’anatema dal potere bolscevico.
Quando Parvus morì nel 1924 a Berlino, come figlio maggiore e legittimo egli acquisì in eredità il favoloso e precursore Istituto internazionale per lo studio delle cause e delle conseguenze della guerra, fondato dal padre a Copenaghen. Rinunciando ad ogni compenso, lo donò all’Istituto Lenin di Mosca, dove la ricchissima biblioteca e quell’inestimabile collezione di documenti sono state per sempre sepolte e rese inaccessibili. Già dal 1922 Gnedin lavorava al ministero degli esteri dell’Urss, fu collaboratore del giornale «Izvestija», diplomatico dell’ambasciata sovietica a Berlino fino al 1937 col grado di primo segretario. Dopo di allora, di nuovo a Mosca, fu uno dei più intimi coadiutori di Litvinov, allora ministro degli esteri.
Quando quest’ultimo fu destituito e nel 1939 Stalin e Molotov stipularono il patto con Hitler, coronando una politica da tempo perseguita, Gnedin venne arrestato. Torturato personalmente da Beria, dopo la prigione Suchanovskaja, dalla quale nessuno usciva vivo, fu gettato in un lager. Nel 1940 il suo fratellastro, che aveva conservato il cognome Helphand ed era facente funzione d’ambasciatore dell’Urss a Roma, fu convocato a Mosca da Stalin. Egli mangiò la foglia e chiese aiuto a Ciano, che gli diede modo di fuggire negli Usa.
Dopo la morte di Stalin, Gnedin fu riabilitato, ma alla sua liberazione ancora si opponeva ai vertici dell’Urss chi temeva ciò che egli sapeva sugli intrighi della politica sovietica col nazismo. Nel 1955, grazie anche all’intervento di Ehrenburg, poté tornare a Mosca e divenne collaboratore della rivista «Novy Mir» con vari saggi degli anni ’60. Dopo la destituzione del direttore “liberale” Tvardovskij nel 1970, Gnedin, il quale nel frattempo aveva maturato una visione delle cose estranea all’ideologia ufficiale e alla politica dell’Urss, divenne autore del samizdat nella rivista clandestina «Pamjat’» («Memoria»), sostenitore del dissenso, di Sacharov e della migliore intelligencija russa. Coraggiosamente diede le dimissioni dal partito in piena epoca Brežnev, pubblicò all’estero le sue memorie Katastrofa i vtoroe roždenie (Catastrofe e seconda nascita) con prefazione di Sacharov, nonché altri scritti, in cui con pacata serenità e lucida consapevolezza narra le vicende proprie e del Paese in un ripensamento generale del destino delle generazioni che crebbero nel segno del comunismo.
Di eccezionale importanza sono inoltre le sue pubblicazioni V Narkomindele (Nel ministero degli esteri) e Iz istorij ontonošenij meždu SSSR i fašistkoj Germaniej (Dalla storia delle relazioni tra l’Urss e la Germania fascista). Soprattutto quest’ultimo, che è un vero saggio di commento ai Documents on German Foreign Policy (Serie C, vol. II, Serie D, vol. IV) sequestrati a Berlino dagli alleati nel 1945, riveste un’importanza unica per la storia. Gnedin, con la sua conoscenza dei retroscena della politica estera dell’Urss tra le due guerre, con l’esperienza della sua attività di diplomatico, arricchisce di nuovi dati, mette a fuoco quei documenti, dimostrando la politica pro-nazista condotta da Stalin-Molotov fin dal 1933 per canali diversi (legazioni commerciali e altri) da quelli del Ministero diretto da Litvinov, alle sue spalle, fino al patto Ribbentrop-Molotov. Se non aveva già fatto la sua scelta, comunque Stalin giocava su due cavalli e la politica ‘antifascista’ dell’Urss era la facciata per nascondere un gioco cinico di potenza, dietro cui stava forse anche l’illusione d’uno stabile blocco totalitario col nazismo, considerato più affine che non con il capitalismo democratico, una riedizione del vecchio sogno della frazione pro-germanica in Russia d’un blocco continentale est-europeo da contrapporre a Gran Bretagna e Usa. Grazie a Hitler, comunque, l’Urss inghiottì i paesi baltici, la Bessarabia, parte della Polonia orientale e della Bucovina.
Queste opere di Gnedin, sia le memorialistiche, sia le altre più specialistiche, dovrebbero trovare un editore in Italia. Egli fu un uomo fino all’ultimo attivo, pronto a recepire ogni cosa nuova dalla vita contemporanea e dalle nuove generazioni; pronto a dare tutto di sé. L’ha stroncato in agosto una leucemia acuta. L’intelligencija russa e la memoria di essa del proprio passato, d’un passato che ha coinvolto tutti, hanno perduto con lui uno degli ultimi anelli viventi, un testimone e un protagonista che ha pagato di persona, ma è uscito dal labirinto e ha aiutato molti ad uscirne con la forza del pensiero e della coscienza.
E’ morto a Mosca E. Gnedin. Questo nome nulla dice ai più, ma egli fu il testimone, la vittima e il vincitore morale di un’epoca. La sua vita comincia con la gestazione del comunismo, nello stesso suo grembo, e termina con l’abiura dell’Urss, da quanto essa impersona come consunzione totale di quell’idea e sua metamorfosi in falsa coscienza del proprio imperialismo.
Era nato a Dresda nel 1898, figlio del celebre teorico e politico russo-tedesco Helphand-Parvus, il cervello marxista in assoluto più preparato e sollecitante a cavallo dei due secoli, oltre che il realizzatore della «bomba Lenin» per la pace separata della Russia con la Germania nella prima guerra mondiale. Dopo l’infanzia in Germania, dov’era vezzeggiato da Luisa Kautsky e da Rosa Luxemburg, il figlio Lazar’, detto Ženja, rimpatriò nel 1905 a Odessa con la madre divorziata da Parvus. Crebbe in Russia, credette nella rivoluzione di Lenin, ne divenne fervente seguace tanto da assumere il cognome di Gnedin, rinnegando quello del padre condannato all’anatema dal potere bolscevico.
Quando Parvus morì nel 1924 a Berlino, come figlio maggiore e legittimo egli acquisì in eredità il favoloso e precursore Istituto internazionale per lo studio delle cause e delle conseguenze della guerra, fondato dal padre a Copenaghen. Rinunciando ad ogni compenso, lo donò all’Istituto Lenin di Mosca, dove la ricchissima biblioteca e quell’inestimabile collezione di documenti sono state per sempre sepolte e rese inaccessibili. Già dal 1922 Gnedin lavorava al ministero degli esteri dell’Urss, fu collaboratore del giornale «Izvestija», diplomatico dell’ambasciata sovietica a Berlino fino al 1937 col grado di primo segretario. Dopo di allora, di nuovo a Mosca, fu uno dei più intimi coadiutori di Litvinov, allora ministro degli esteri.
Quando quest’ultimo fu destituito e nel 1939 Stalin e Molotov stipularono il patto con Hitler, coronando una politica da tempo perseguita, Gnedin venne arrestato. Torturato personalmente da Beria, dopo la prigione Suchanovskaja, dalla quale nessuno usciva vivo, fu gettato in un lager. Nel 1940 il suo fratellastro, che aveva conservato il cognome Helphand ed era facente funzione d’ambasciatore dell’Urss a Roma, fu convocato a Mosca da Stalin. Egli mangiò la foglia e chiese aiuto a Ciano, che gli diede modo di fuggire negli Usa.
Dopo la morte di Stalin, Gnedin fu riabilitato, ma alla sua liberazione ancora si opponeva ai vertici dell’Urss chi temeva ciò che egli sapeva sugli intrighi della politica sovietica col nazismo. Nel 1955, grazie anche all’intervento di Ehrenburg, poté tornare a Mosca e divenne collaboratore della rivista «Novy Mir» con vari saggi degli anni ’60. Dopo la destituzione del direttore “liberale” Tvardovskij nel 1970, Gnedin, il quale nel frattempo aveva maturato una visione delle cose estranea all’ideologia ufficiale e alla politica dell’Urss, divenne autore del samizdat nella rivista clandestina «Pamjat’» («Memoria»), sostenitore del dissenso, di Sacharov e della migliore intelligencija russa. Coraggiosamente diede le dimissioni dal partito in piena epoca Brežnev, pubblicò all’estero le sue memorie Katastrofa i vtoroe roždenie (Catastrofe e seconda nascita) con prefazione di Sacharov, nonché altri scritti, in cui con pacata serenità e lucida consapevolezza narra le vicende proprie e del Paese in un ripensamento generale del destino delle generazioni che crebbero nel segno del comunismo.
Di eccezionale importanza sono inoltre le sue pubblicazioni V Narkomindele (Nel ministero degli esteri) e Iz istorij ontonošenij meždu SSSR i fašistkoj Germaniej (Dalla storia delle relazioni tra l’Urss e la Germania fascista). Soprattutto quest’ultimo, che è un vero saggio di commento ai Documents on German Foreign Policy (Serie C, vol. II, Serie D, vol. IV) sequestrati a Berlino dagli alleati nel 1945, riveste un’importanza unica per la storia. Gnedin, con la sua conoscenza dei retroscena della politica estera dell’Urss tra le due guerre, con l’esperienza della sua attività di diplomatico, arricchisce di nuovi dati, mette a fuoco quei documenti, dimostrando la politica pro-nazista condotta da Stalin-Molotov fin dal 1933 per canali diversi (legazioni commerciali e altri) da quelli del Ministero diretto da Litvinov, alle sue spalle, fino al patto Ribbentrop-Molotov. Se non aveva già fatto la sua scelta, comunque Stalin giocava su due cavalli e la politica ‘antifascista’ dell’Urss era la facciata per nascondere un gioco cinico di potenza, dietro cui stava forse anche l’illusione d’uno stabile blocco totalitario col nazismo, considerato più affine che non con il capitalismo democratico, una riedizione del vecchio sogno della frazione pro-germanica in Russia d’un blocco continentale est-europeo da contrapporre a Gran Bretagna e Usa. Grazie a Hitler, comunque, l’Urss inghiottì i paesi baltici, la Bessarabia, parte della Polonia orientale e della Bucovina.
Queste opere di Gnedin, sia le memorialistiche, sia le altre più specialistiche, dovrebbero trovare un editore in Italia. Egli fu un uomo fino all’ultimo attivo, pronto a recepire ogni cosa nuova dalla vita contemporanea e dalle nuove generazioni; pronto a dare tutto di sé. L’ha stroncato in agosto una leucemia acuta. L’intelligencija russa e la memoria di essa del proprio passato, d’un passato che ha coinvolto tutti, hanno perduto con lui uno degli ultimi anelli viventi, un testimone e un protagonista che ha pagato di persona, ma è uscito dal labirinto e ha aiutato molti ad uscirne con la forza del pensiero e della coscienza.
Pietro Zveteremich
“La Nuova Rivista Europea” n. 11-12, 1983.