Pietro A. Zveteremich
Gli eredi di Bobok
Nel racconto Bobok, Dostoevskìj fa parlare i morti. Una certa qual persona, « un tale », com'egli semplicemente lo definisce, capitato quasi per caso al cimitero, vi nota « molta finta mestizia e anche molta sincera allegria »(1). Si annoia a leggere « le epigrafi sepolcrali, che sono eternamente la stessa cosa » e, dopo aver vagato con i pensieri, si oblia sdraiato su una tomba. Sulla tomba c'era un panino imbottito già sbocconcellato. « Cosa stupida e fuor di posto » pensa il tizio e lo getta via. Si guarda in giro, osserva, si diletta del nulla; ma, d'un tratto, ode suoni, voci indistinte, parole. Sono i morti che dialogano:
« ...Avdot'ja Ignat'evna, vi ricordate come mi corrompeste, una quindicina d'anni fa, quand'ero ancora un paggio quattordicenne?...
- Ah, sei tu, farabutto, meno male che ti ha mandato Dio, altrimenti qui...
- Voi avete sospettato a torto il vostro vicino, il negoziante, di cattivo odore... Io me ne stavo zitto e me la ridevo. Perché è da me che viene, perché mi hanno sotterrato così come sono, in una bara inchiodata...
- Ah, che schifoso! E tuttavia sono contenta; voi non crederete, Klinevic, voi non ci crederete quanta mancanza di vita ci sia qui, e di arguzia...
- Ma si, ma sì, e io ho intenzione d'impiantar qui qualcosa d'originale... Vostra eccellenza! No, non voi, Pervoedov, vostra eccellenza. L'altro, il signor Tarasevic, consigliere segreto! Rispondete! Sono Klinevic, quello che in tempo di Quaresima vi portava da m-Ile Furie, mi sentite?
- Vi sento, Klinevic, e sono molto lieto, e credete...
- Non ci credo un cavolo e me ne infischio... Lo sapete, signori, che cos'ha combinato questo grand-père? E' morto due o tre giorni fa e, immaginatevi, ha lasciato un buco di ben quattrocentomila rubli! Una somma per le vedove e gli orfani e chissà perché lui solo l'amministrava... Per tutto quest'ultimo anno mi sono stupito come a un simile vecchiaccio settantenne, con la gotta ai piedi e alle mani, fossero rimaste ancora tante forze per il libertinaggio, ma ecco adesso svelato l'enigma! Le vedove e gli orfani... già solo il pensare a loro doveva arroventarlo!...
- Cher Klinevic, sono perfettamente d'accordo con voi... Nella vita ci sono tante sofferenze, tormenti, e così poca rivalsa... ho desiderato finalmente star tranquillo, e, a quanto vedo, spero anche qui di trarre tutto...
- Scommetto che ha già fiutato Catiche Berestova!
- Quale... quale Catiche? - tremò libidinosa la voce del vecchio.
- Ah, quale Catiche? Ma qui, a sinistra, a cinque passi da me, a dieci da voi. E' già il quinto giorno che è qui e se voi sapeste, grand-père, che carognetta è... di buona famiglia, educata, eppure monstre, monstre all'ultimo grado! Là [cioè sulla terra, mentre loro sono giù, sotto terra] io non la mostravo a nessuno, solo io sapevo... Catiche, rispondi!
- Ih-ih-ih! - rispose il suono stridulo d'una vocetta di ragazzina, ma si udì in essa come la puntura d'uno spillo. - Ih-ih-ih!
- Ed è bion-di-na? - farmugliò con voce spezzata, in tre tempi, il grand-père.
- Ih-ih-ih!
- Io... io già da un pezzo cullavo il sogno, - farfugliò il vecchio ansando, - d'una biondina... quindicenne... e proprio in un ambiente come questo...
- Ah, mostro! - esclamò Avdot'ja Ignat'evna.
- Basta! - concluse Klinevic - vedo che c'è un materiale stupendo. Qui ci sistemeremo immediatamente nel migliore dei modi. L'essenziale è di passare allegramente il tempo che rimane, ma quale tempo? Ehi, voi, funzionario tal dei tali, Lebezjatnikov mi pare, ho sentito che vi chiamavano così!
- Lebezjatnikov Semen Evseic, consigliere di corte, al vostro servizio e molto-molto-molto lieto.
- Me ne infischio che siate lieto, solo che voi qui, a quanto pare, sapete tutto. Dite, in primo luogo (è già da ieri che me ne stupisco), come mai noi qui parliamo? Infatti siamo morti e tuttavia parliamo; sembra pure che ci moviamo, e tuttavia non parliamo e non ci moviamo?! Che giochetti sono questi » ?
Qui Dostoevskij dà la spiegazione attraverso un altro personaggio «defunto», Platon Nikolaevic, nel cui nome M.M. Bachtin vide una allusione al dialogo socratico come genere e altri alla dottrina platonica dell'immortalità dell'anima. Questo Platon Nikolaevic, che Lebezjatnikov definisce « il nostro casalingo filosofo di qui », ossia del cimitero, così illustra la loro condizione:
« - Lui spiega tutto questo nel modo più semplice, e precisamente che di sopra, quando eravamo ancora vivi, erroneamente consideravamo la morte di lassù come morte. Sembra invece che qui il corpo in un certo senso si vivifichi; i residui della vita si concentrino, ma solamente nella coscienza. La vita, non so come spiegarvi, continua come per inerzia... C'è qui, per esempio, un tale che si è quasi completamente decomposto, ma, una volta ogni sei settimane, ancora tutt'a un tratto borbotta una sola paroletta, naturalmente insensata, su un certo bobok: `Bobok, bobok'. Anche in lui, dunque, la vita palpita ancora come una scintilla impercettibile... ».
E così bobok, vocabolo esistente nella lingua russa, ma qui usato da Dostoevskij con intenzione onomatopeica(2) a rappresentare l'ultima emissione vocale dell'individualità, l'ultima esaltazione d'una coscienza che la vitalità abbandona, e che si spegne (« la scintilla impercettibile »), fonema qui privo di significato e dunque assurdo nel dato sistema linguistico, costituisce la parola-chiave del titolo del racconto e di esso tutto; ma, di più: caricandosi invece di significati e indicazioni, allusioni nel corso del racconto, è rimasto nella storia della letteratura come l'emblema stesso della menippea dostoevskiana, secondo l'interpretazione che ne dà Bachtin, ovvero d'un genere del tutto rinnovato e visto come il contenitore per eccellenza e lo strumento più idoneo per quel « realismo in senso supremo » che era propugnato da Dostoevskij per la conoscenza e dunque l'espressione della società moderna(3). In questa nozione capivano il grottesco, la satira, il fantastico e l'assurdo alla pari con il dibattito filosofico e il tragico e altro. E dunque Bobok condensa e riassume in sé tutti questi motivi e da titolo d'un racconto è divenuto l'emblema d'una ricerca poetica oggi largamente e produttivamente perseguita dagli autori russi.
E' quella degli scrittori di cui qui ci vogliamo occupare, due in special modo; ma, prima, occorre ancora rileggere qualche riga del Bobok di Dostoevskij dal quale non può prescindere qualsiasi introduzione al discorso. Udendo le spiegazioni attribuite al « filosofo » dell'al di là, che per i personaggi del racconto è invece « zdešnij » [di qua], Klinevic risponde: «Piuttosto stupido. Com'è allora che io non ho l'odorato eppure sento puzzo ?» Questa battuta del dialogo ha la duplice funzione di richiamare il lettore alla carnalità della seconda breve vita che i personaggi hanno sotto terra, e dunque dare un solido sostegno di credibilità alla « situazione fantastica », all'« inferno carnevalizzato di Bobok » (secondo le parole stesse di Bachtin (4), e di lanciare una frecciata polemica alle teorie e pratiche spiritistiche, da una parte, nonché alle teorie fisiologiche positivistiche dall'altra, cose tutte a cui Dostoevskij era avverso.
La satira menippea entra nel vivo e rivela la sua essenza programmatica con l'obiezione di Lebezjatnikov a Klinevic:
« - Questo... eh-eh... Be', qui il nostro filosofo s'è perduto nelle nebbie. Precisamente a proposito dell'odorato, ha notato che qui si percepisce un puzzo, per così dire, morale... eh-eh! Come un puzzo dell'anima affinché in questi due o tre mesi noi si faccia in tempo a renderci conto... e questa è, per così dire, l’ultima grazia… Solo che, barone, a me tutto ciò sembra ormai un delirio mistico, peraltro assai scusabile nella sua condizione...
- Basta, e anche il seguito, ne sono sicuro, è tutta una balordaggine. L'essenziale sono questi due o tre mesi di vita e, alla fin fine, bobok. Io propongo a tutti di passare questi due mesi nella maniera più piacevole possibile, e a tal fine di organizzarci tutti su certe basi. Signori! Io propongo di non vergognarci di niente!
- Ah, dài, dài! non vergognamoci di niente! - si udirono molte voci, e, strano, si udirono pure altre voci del tutto nuove, evidentemente di altri che nel frattempo si erano destati. Con particolare prontezza tuonò con voce di basso il proprio assenso l'ingegnere, che ormai s'era completamente ridestato. La ragazzina Catiche scoppiò in una risatina giuliva.
- Ah, che voglia ho di non vergognarmi di niente! - esclamò con entusiasmo Avdot'ja Ignat'evna.
- Sentite, se perfino Avdot'ja Ignat'evna non vuole vergognarsi di niente...
- No-no-no, Klinevic, mi vergognavo, lassù comunque io mi vergognavo, mentre qui ho una voglia terribile, terribile di non vergognarmi di nulla!
- Credo di comprendere, Klinevic, - interloquì con la sua voce di basso l'ingegnere, - che voi proponete d'organizzare la vita per così dire di qui su princìpi nuovi e ormai razionali.
- Be', di questo me ne infischio!... Ma per ora voglio che non si menta. Soltanto questo voglio, perché è l'essenziale. Vivere sulla terra e non mentire è impossibile, poiché vita e menzogna sono sinonimi. Bene, e qui invece, per ridere, noi non mentiremo. Al diavolo, la tomba significa pur qualcosa! Racconteremo tutti ad alta voce le nostre storie e non ci vergogneremo più di niente *. Racconterò io per primo di me stesso. Io, sapete, sono della razza dei libidinosi. Lassù tutto era tenuto insieme da corde marce. Abbasso le corde, e viviamo questi due mesi nella più svergognata nudità! Spogliamoci e denudiamoci!
- Denudiamoci, denudiamoci! - gridarono a tutto spiano le voci ».
(1) F. M. Dostoevskìj, Bobok in PSS v 30 tomach, Izd. Nauka, Leningrad, t. 21, 1980, pp. 44 sgg. L'ed. sarà in seguito citata come DPSSN.
(2) Che è la tesi sostenuta anche nell'ed. It.: F. M. Dostoevskij, Racconti e romanzi brevi, Sansoni, Firenze, 1962. Vi si riportano anche altre ipotesi (cfr. vol. 3°, p. 590). L'edizione critica russa DPSSN sembra voler suggerire una connessione satirica con lo scrittore P. D. Boborykin, che usò lo pseudonimo di Bob . (cfr. t. 21, p. 404), ma ciò non sembra probante in quanto in russo bob è parola comunissima, che significa “fava”.
(3) Cfr. F. M. Dostoevskij, Gospodin Scedrin, ili Raskol v nigilistach, DPSSN, t. 20, pp. 108-109.
(4) M. Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Einaudi, Torino, 1968, p. 189.
(*) Il corsivo è mio.
.
« ...Avdot'ja Ignat'evna, vi ricordate come mi corrompeste, una quindicina d'anni fa, quand'ero ancora un paggio quattordicenne?...
- Ah, sei tu, farabutto, meno male che ti ha mandato Dio, altrimenti qui...
- Voi avete sospettato a torto il vostro vicino, il negoziante, di cattivo odore... Io me ne stavo zitto e me la ridevo. Perché è da me che viene, perché mi hanno sotterrato così come sono, in una bara inchiodata...
- Ah, che schifoso! E tuttavia sono contenta; voi non crederete, Klinevic, voi non ci crederete quanta mancanza di vita ci sia qui, e di arguzia...
- Ma si, ma sì, e io ho intenzione d'impiantar qui qualcosa d'originale... Vostra eccellenza! No, non voi, Pervoedov, vostra eccellenza. L'altro, il signor Tarasevic, consigliere segreto! Rispondete! Sono Klinevic, quello che in tempo di Quaresima vi portava da m-Ile Furie, mi sentite?
- Vi sento, Klinevic, e sono molto lieto, e credete...
- Non ci credo un cavolo e me ne infischio... Lo sapete, signori, che cos'ha combinato questo grand-père? E' morto due o tre giorni fa e, immaginatevi, ha lasciato un buco di ben quattrocentomila rubli! Una somma per le vedove e gli orfani e chissà perché lui solo l'amministrava... Per tutto quest'ultimo anno mi sono stupito come a un simile vecchiaccio settantenne, con la gotta ai piedi e alle mani, fossero rimaste ancora tante forze per il libertinaggio, ma ecco adesso svelato l'enigma! Le vedove e gli orfani... già solo il pensare a loro doveva arroventarlo!...
- Cher Klinevic, sono perfettamente d'accordo con voi... Nella vita ci sono tante sofferenze, tormenti, e così poca rivalsa... ho desiderato finalmente star tranquillo, e, a quanto vedo, spero anche qui di trarre tutto...
- Scommetto che ha già fiutato Catiche Berestova!
- Quale... quale Catiche? - tremò libidinosa la voce del vecchio.
- Ah, quale Catiche? Ma qui, a sinistra, a cinque passi da me, a dieci da voi. E' già il quinto giorno che è qui e se voi sapeste, grand-père, che carognetta è... di buona famiglia, educata, eppure monstre, monstre all'ultimo grado! Là [cioè sulla terra, mentre loro sono giù, sotto terra] io non la mostravo a nessuno, solo io sapevo... Catiche, rispondi!
- Ih-ih-ih! - rispose il suono stridulo d'una vocetta di ragazzina, ma si udì in essa come la puntura d'uno spillo. - Ih-ih-ih!
- Ed è bion-di-na? - farmugliò con voce spezzata, in tre tempi, il grand-père.
- Ih-ih-ih!
- Io... io già da un pezzo cullavo il sogno, - farfugliò il vecchio ansando, - d'una biondina... quindicenne... e proprio in un ambiente come questo...
- Ah, mostro! - esclamò Avdot'ja Ignat'evna.
- Basta! - concluse Klinevic - vedo che c'è un materiale stupendo. Qui ci sistemeremo immediatamente nel migliore dei modi. L'essenziale è di passare allegramente il tempo che rimane, ma quale tempo? Ehi, voi, funzionario tal dei tali, Lebezjatnikov mi pare, ho sentito che vi chiamavano così!
- Lebezjatnikov Semen Evseic, consigliere di corte, al vostro servizio e molto-molto-molto lieto.
- Me ne infischio che siate lieto, solo che voi qui, a quanto pare, sapete tutto. Dite, in primo luogo (è già da ieri che me ne stupisco), come mai noi qui parliamo? Infatti siamo morti e tuttavia parliamo; sembra pure che ci moviamo, e tuttavia non parliamo e non ci moviamo?! Che giochetti sono questi » ?
Qui Dostoevskij dà la spiegazione attraverso un altro personaggio «defunto», Platon Nikolaevic, nel cui nome M.M. Bachtin vide una allusione al dialogo socratico come genere e altri alla dottrina platonica dell'immortalità dell'anima. Questo Platon Nikolaevic, che Lebezjatnikov definisce « il nostro casalingo filosofo di qui », ossia del cimitero, così illustra la loro condizione:
« - Lui spiega tutto questo nel modo più semplice, e precisamente che di sopra, quando eravamo ancora vivi, erroneamente consideravamo la morte di lassù come morte. Sembra invece che qui il corpo in un certo senso si vivifichi; i residui della vita si concentrino, ma solamente nella coscienza. La vita, non so come spiegarvi, continua come per inerzia... C'è qui, per esempio, un tale che si è quasi completamente decomposto, ma, una volta ogni sei settimane, ancora tutt'a un tratto borbotta una sola paroletta, naturalmente insensata, su un certo bobok: `Bobok, bobok'. Anche in lui, dunque, la vita palpita ancora come una scintilla impercettibile... ».
E così bobok, vocabolo esistente nella lingua russa, ma qui usato da Dostoevskij con intenzione onomatopeica(2) a rappresentare l'ultima emissione vocale dell'individualità, l'ultima esaltazione d'una coscienza che la vitalità abbandona, e che si spegne (« la scintilla impercettibile »), fonema qui privo di significato e dunque assurdo nel dato sistema linguistico, costituisce la parola-chiave del titolo del racconto e di esso tutto; ma, di più: caricandosi invece di significati e indicazioni, allusioni nel corso del racconto, è rimasto nella storia della letteratura come l'emblema stesso della menippea dostoevskiana, secondo l'interpretazione che ne dà Bachtin, ovvero d'un genere del tutto rinnovato e visto come il contenitore per eccellenza e lo strumento più idoneo per quel « realismo in senso supremo » che era propugnato da Dostoevskij per la conoscenza e dunque l'espressione della società moderna(3). In questa nozione capivano il grottesco, la satira, il fantastico e l'assurdo alla pari con il dibattito filosofico e il tragico e altro. E dunque Bobok condensa e riassume in sé tutti questi motivi e da titolo d'un racconto è divenuto l'emblema d'una ricerca poetica oggi largamente e produttivamente perseguita dagli autori russi.
E' quella degli scrittori di cui qui ci vogliamo occupare, due in special modo; ma, prima, occorre ancora rileggere qualche riga del Bobok di Dostoevskij dal quale non può prescindere qualsiasi introduzione al discorso. Udendo le spiegazioni attribuite al « filosofo » dell'al di là, che per i personaggi del racconto è invece « zdešnij » [di qua], Klinevic risponde: «Piuttosto stupido. Com'è allora che io non ho l'odorato eppure sento puzzo ?» Questa battuta del dialogo ha la duplice funzione di richiamare il lettore alla carnalità della seconda breve vita che i personaggi hanno sotto terra, e dunque dare un solido sostegno di credibilità alla « situazione fantastica », all'« inferno carnevalizzato di Bobok » (secondo le parole stesse di Bachtin (4), e di lanciare una frecciata polemica alle teorie e pratiche spiritistiche, da una parte, nonché alle teorie fisiologiche positivistiche dall'altra, cose tutte a cui Dostoevskij era avverso.
La satira menippea entra nel vivo e rivela la sua essenza programmatica con l'obiezione di Lebezjatnikov a Klinevic:
« - Questo... eh-eh... Be', qui il nostro filosofo s'è perduto nelle nebbie. Precisamente a proposito dell'odorato, ha notato che qui si percepisce un puzzo, per così dire, morale... eh-eh! Come un puzzo dell'anima affinché in questi due o tre mesi noi si faccia in tempo a renderci conto... e questa è, per così dire, l’ultima grazia… Solo che, barone, a me tutto ciò sembra ormai un delirio mistico, peraltro assai scusabile nella sua condizione...
- Basta, e anche il seguito, ne sono sicuro, è tutta una balordaggine. L'essenziale sono questi due o tre mesi di vita e, alla fin fine, bobok. Io propongo a tutti di passare questi due mesi nella maniera più piacevole possibile, e a tal fine di organizzarci tutti su certe basi. Signori! Io propongo di non vergognarci di niente!
- Ah, dài, dài! non vergognamoci di niente! - si udirono molte voci, e, strano, si udirono pure altre voci del tutto nuove, evidentemente di altri che nel frattempo si erano destati. Con particolare prontezza tuonò con voce di basso il proprio assenso l'ingegnere, che ormai s'era completamente ridestato. La ragazzina Catiche scoppiò in una risatina giuliva.
- Ah, che voglia ho di non vergognarmi di niente! - esclamò con entusiasmo Avdot'ja Ignat'evna.
- Sentite, se perfino Avdot'ja Ignat'evna non vuole vergognarsi di niente...
- No-no-no, Klinevic, mi vergognavo, lassù comunque io mi vergognavo, mentre qui ho una voglia terribile, terribile di non vergognarmi di nulla!
- Credo di comprendere, Klinevic, - interloquì con la sua voce di basso l'ingegnere, - che voi proponete d'organizzare la vita per così dire di qui su princìpi nuovi e ormai razionali.
- Be', di questo me ne infischio!... Ma per ora voglio che non si menta. Soltanto questo voglio, perché è l'essenziale. Vivere sulla terra e non mentire è impossibile, poiché vita e menzogna sono sinonimi. Bene, e qui invece, per ridere, noi non mentiremo. Al diavolo, la tomba significa pur qualcosa! Racconteremo tutti ad alta voce le nostre storie e non ci vergogneremo più di niente *. Racconterò io per primo di me stesso. Io, sapete, sono della razza dei libidinosi. Lassù tutto era tenuto insieme da corde marce. Abbasso le corde, e viviamo questi due mesi nella più svergognata nudità! Spogliamoci e denudiamoci!
- Denudiamoci, denudiamoci! - gridarono a tutto spiano le voci ».
(continua)
(1) F. M. Dostoevskìj, Bobok in PSS v 30 tomach, Izd. Nauka, Leningrad, t. 21, 1980, pp. 44 sgg. L'ed. sarà in seguito citata come DPSSN.
(2) Che è la tesi sostenuta anche nell'ed. It.: F. M. Dostoevskij, Racconti e romanzi brevi, Sansoni, Firenze, 1962. Vi si riportano anche altre ipotesi (cfr. vol. 3°, p. 590). L'edizione critica russa DPSSN sembra voler suggerire una connessione satirica con lo scrittore P. D. Boborykin, che usò lo pseudonimo di Bob . (cfr. t. 21, p. 404), ma ciò non sembra probante in quanto in russo bob è parola comunissima, che significa “fava”.
(3) Cfr. F. M. Dostoevskij, Gospodin Scedrin, ili Raskol v nigilistach, DPSSN, t. 20, pp. 108-109.
(4) M. Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Einaudi, Torino, 1968, p. 189.
(*) Il corsivo è mio.
.