Pietro A. Zveteremich
L’avventura culturale di Zveteremich
Docente di Lingua e letteratura russa per vent’anni a Messina, l’attività cattedratica di Zveteremich rappresenta soltanto una piccola parte, se pur significativa, di quel suo navigare nell’immenso mare della cultura slava e in particolare di quella russa. Zveteremich spaziava in essa con libertà e puntuale competenza, non solo nell’ambito letterario filologico e critico, ma anche in quello storico e in quello delle arti figurative. Alieno da ogni forma di presenzialismo, il suo nome non era frequente incontrarlo nelle “cronache culturali”, ma quando è venuto alla ribalta, lo è stato sempre per lasciare un’eredità di cui tutti dobbiamo essergli debitori: mi riferisco alla sua traduzione in prima assoluta mondiale del Dottor Živago , che Zveteremich caldeggiò presso Feltrinelli definendo un delitto contro la cultura la sua non pubblicazione; penso alla prima-raccolta traduzione in Occidente delle poesie di Marina Cvetaeva da lui curata nel 1967; penso alla beffa letteraria delle “Notti di Mosca”, romanzo da lui stesso scritto nel ‘70 spacciandosi per uno scrittore russo; ed ancora penso al “Grande Parvus”, saggio su un personaggio messo nel dimenticatoio della storia, che ebbe una influenza determinante nella diffusione e nella pratica del pensiero rivoluzionario in Russia e che , in collaborazione col governo tedesco, promuovette il ritorno in patria di Lenin.
Parlare della vita di Zveteremich significa parlare di un pezzo di storia culturale e politica dell’ Italia del dopo guerra. Nato a Colonia nel 1922 da padre triestino e madre ligure, Pietro Antonio Zveteremich intraprende gli studi universitari a Milano dove durante gli anni della guerra viene a contatto con Elio Vittorini ed altri intellettuali antifascisti. Costretto a riparare in Svizzera, dove proseguirà i suoi studi presso l’università di Zurigo, continua la sua collaborazione con Vittorini, al cui fianco si ritroverà anche nella redazione del “Politecnico”. Zveteremich partecipa attivamente al dibattito intellettuale , intervenendo e presentando soprattutto la realtà culturale sovietica, in quegli anni in evoluzione; ricordiamo che sono gli anni del “disgelo”. Ed è proprio nel contesto del “disgelo” che si deve inquadrare la vicenda della pubblicazione del Dottor Živago.
La neonata allora Feltrinelli, che con la pubblicazione “Nella sua città” di Nekrasov (1953) era diventata di colpo la casa del “disgelo”, andava a caccia di nuovi libri e autori russi, che fossero espressione di quel vento di libertà che sembrava spirasse dalla rigida cortina di di ferro; fu così che il manoscritto del quasi da noi sconosciuto all’epoca Boris Pasternak, arrivò nelle mani del Prof. Zveteremich, al quale la Feltrinelli aveva affidato il compito di una prima visione. Zveteremich non ebbe subito dubbi e scrisse: “Il romanzo di Pasternak è una grande cosa e l’Urss lo riconoscerà certamente fra una decina di anni nel suo valore”. Ma la pubblicazione non si rivelò cosa semplice per i segnali di malessere che incominciavano a giungere da Mosca; segnali di cui si fecero portavoce in Italia molti comunisti e lo stesso Togliatti che come afferma Riva “badò a non esporsi, mandando avanti altri”. Tutti sappiamo come furono vane tutte le pressioni su Feltrinelli che pubblicò egualmente il romanzo nel ‘57, aprendo la strada del Nobel della letteratura al grande scrittore russo, che tuttavia non poté mai ritirare il premio. In Italia invece lo “scandalo” rivelò i limiti di una sinistra culturale, in molta sua parte ancora imbrigliata nei lacci di una logica dogmatica e partitica e determinò dimissioni importanti in casa Feltrinelli e la restituzione della tessera del PCI dello stesso editore.
Zveteremich intanto continua la sua opera incessante di traduttore e di canale di trasmissione per il pubblico italiano dei maggiori talenti della letteratura russa del novecento, il più delle volte intenzionalmente e delittuosamente ignorati in Unione Sovietica, se non repressi. E’ di Zveteremich l’antologia Narratori russi moderni che esce nel 1963 che per la somma di informazioni che contiene sugli scrittori operanti tra il 1910 e il 1963 costituiva un lavoro unico nel suo genere e veniva a colmare il vuoto editoriale creatosi dopo la rivoluzione del ‘17. Tra i ben 44 scrittori in essa presenti col altrettanti racconti, troviamo i nomi di Babel’, Platonov, Pil’njak e della stessa Cvetaeva, tutti grandissimi della letteratura russa del ‘900 e tutti egualmente liquidati direttamente o indirettamente da un regime, dove lo scrittore poteva fare solo il piffero dell’ideologia del “luminoso avvenire”.
Zveteremich c’è da dire che dal 1948 condivideva la direzione di Rassegna sovietica, organo praticamente dell’associazione Italia-URSS; il giornale grazie anche alla presenza dello slavista aveva goduto di buona autonomia di pensiero e si era fatto spesso portavoce delle nuove tendenze dell’arte sovietica. Ma il “caso” Živago , l’invasione dell’Ungheria e l’incombente stagnazione, avevano finito col legare mani e piedi alla rivista e nel ‘67 il nostro slavista ne dà le dimissioni. Allentati definitivamente anche i suoi rapporti col PCI, cui fino allora era stato iscritto, Zveteremich ha continuato la sua ricerca fuori da ambiti ideologici e circoli ben delimitati. Accanto all’attività di traduttore e di critico, nel 1972 affianca quella di docente universitario a Messina; carica che manterrà fino alla morte avvenuta a Roma il.3 ottobre del 1992.
Parlare della vita di Zveteremich significa parlare di un pezzo di storia culturale e politica dell’ Italia del dopo guerra. Nato a Colonia nel 1922 da padre triestino e madre ligure, Pietro Antonio Zveteremich intraprende gli studi universitari a Milano dove durante gli anni della guerra viene a contatto con Elio Vittorini ed altri intellettuali antifascisti. Costretto a riparare in Svizzera, dove proseguirà i suoi studi presso l’università di Zurigo, continua la sua collaborazione con Vittorini, al cui fianco si ritroverà anche nella redazione del “Politecnico”. Zveteremich partecipa attivamente al dibattito intellettuale , intervenendo e presentando soprattutto la realtà culturale sovietica, in quegli anni in evoluzione; ricordiamo che sono gli anni del “disgelo”. Ed è proprio nel contesto del “disgelo” che si deve inquadrare la vicenda della pubblicazione del Dottor Živago.
La neonata allora Feltrinelli, che con la pubblicazione “Nella sua città” di Nekrasov (1953) era diventata di colpo la casa del “disgelo”, andava a caccia di nuovi libri e autori russi, che fossero espressione di quel vento di libertà che sembrava spirasse dalla rigida cortina di di ferro; fu così che il manoscritto del quasi da noi sconosciuto all’epoca Boris Pasternak, arrivò nelle mani del Prof. Zveteremich, al quale la Feltrinelli aveva affidato il compito di una prima visione. Zveteremich non ebbe subito dubbi e scrisse: “Il romanzo di Pasternak è una grande cosa e l’Urss lo riconoscerà certamente fra una decina di anni nel suo valore”. Ma la pubblicazione non si rivelò cosa semplice per i segnali di malessere che incominciavano a giungere da Mosca; segnali di cui si fecero portavoce in Italia molti comunisti e lo stesso Togliatti che come afferma Riva “badò a non esporsi, mandando avanti altri”. Tutti sappiamo come furono vane tutte le pressioni su Feltrinelli che pubblicò egualmente il romanzo nel ‘57, aprendo la strada del Nobel della letteratura al grande scrittore russo, che tuttavia non poté mai ritirare il premio. In Italia invece lo “scandalo” rivelò i limiti di una sinistra culturale, in molta sua parte ancora imbrigliata nei lacci di una logica dogmatica e partitica e determinò dimissioni importanti in casa Feltrinelli e la restituzione della tessera del PCI dello stesso editore.
Zveteremich intanto continua la sua opera incessante di traduttore e di canale di trasmissione per il pubblico italiano dei maggiori talenti della letteratura russa del novecento, il più delle volte intenzionalmente e delittuosamente ignorati in Unione Sovietica, se non repressi. E’ di Zveteremich l’antologia Narratori russi moderni che esce nel 1963 che per la somma di informazioni che contiene sugli scrittori operanti tra il 1910 e il 1963 costituiva un lavoro unico nel suo genere e veniva a colmare il vuoto editoriale creatosi dopo la rivoluzione del ‘17. Tra i ben 44 scrittori in essa presenti col altrettanti racconti, troviamo i nomi di Babel’, Platonov, Pil’njak e della stessa Cvetaeva, tutti grandissimi della letteratura russa del ‘900 e tutti egualmente liquidati direttamente o indirettamente da un regime, dove lo scrittore poteva fare solo il piffero dell’ideologia del “luminoso avvenire”.
Zveteremich c’è da dire che dal 1948 condivideva la direzione di Rassegna sovietica, organo praticamente dell’associazione Italia-URSS; il giornale grazie anche alla presenza dello slavista aveva goduto di buona autonomia di pensiero e si era fatto spesso portavoce delle nuove tendenze dell’arte sovietica. Ma il “caso” Živago , l’invasione dell’Ungheria e l’incombente stagnazione, avevano finito col legare mani e piedi alla rivista e nel ‘67 il nostro slavista ne dà le dimissioni. Allentati definitivamente anche i suoi rapporti col PCI, cui fino allora era stato iscritto, Zveteremich ha continuato la sua ricerca fuori da ambiti ideologici e circoli ben delimitati. Accanto all’attività di traduttore e di critico, nel 1972 affianca quella di docente universitario a Messina; carica che manterrà fino alla morte avvenuta a Roma il.3 ottobre del 1992.
Giuseppe Iannello
estratto da un articolo su “L’isola” del 9/12/1994