Pietro A. Zveteremich
A confronto con la Cvetaeva
Nel novembre del 1992, ad appena un mese dalla morte di Zveteremich, esce una nuova edizione delle poesie di Marina Cvetaeva, da lui tradotte e curate; l’opera che presenta una nuova ed ampliata introduzione, si può considerare come il compendio teorico e pratico della pluridecennale attività di Zveteremich-traduttore.
Marina Cvetaeva si colloca come una delle voci principali della poesia russa della prima metà di questo secolo; una poesia che nel suo complesso per dimensioni e significato assurge nel panorama mondiale della letteratura ai primissimi posti e che senza alcun dubbio -come afferma Zveteremich- deve considerarsi la più avanzata, la più in anticipo. Pasternak, Mandel’stam, Majakovskij, Achmatova insieme a quello della Cvetaeva infatti sono i nomi soltanto dei grandissimi che in Russia, insieme a tantissime altre pregevoli voci, hanno rotto con il passato e misurandosi con la contemporaneità hanno riconquistato un posto alla loro poesia, senza relegarsi in posizioni di difesa. Merito principale questo delle avanguardie e di quella russa in particolare, che hanno rifiutato di nascondersi dietro la presunta antipoeticità dell’epoca ed hanno trovato attraverso un cammino di scontro-incontro con la realtà, nuovi contenuti-forme alla poesia.
All’interno di questo quadro la poesia della Cvetaeva risulta tra le più innovative per mezzi e tecniche espressive e sicuramente fra le più difficili per un un’immediata comprensione, ma anche quella che riserva forse le scoperte più grosse al lettore attento; il lettore della Cvetaeva- a dire della stessa poetessa- è un lettore concreativo: “ La lettura è prima di tutto con-creazione. Sei stanco della mia cosa, vuol dire che hai letto bene e hai letto una cosa buona. La stanchezza del lettore non è una stanchezza che svuoti, ma creativa.”
Nella poesia della Cvetaeva la struttura fonica ha un’importanza fondamentale: “Il libro deve essere eseguito dal lettore come una sonata: i segni sono le note. Sta a lui realizzare o deformare”. E’ per questo che allora ogni elemento, ogni fonema si carica di significato e financo la trascrizione grafica (corsivi, parole sillabate etc.) acquista importanza essenziale per una corretta interpretazione della poesia stessa.
Tutto questo, va da sé, complica notevolmente la vita al traduttore ed è forse per questo che si è dovuto aspettare il 1967 (La Cvetaeva muore nel 1941 e la sua prima raccolta è del 1910!) perché uscisse in Occidente una raccolta in traduzione delle poesie della Cvetaeva e fu proprio Zveteremich l’autore di questo primo lavoro sistematico di traduzione-trasmissione della forza creatrice della poetessa russa.
Zveteremich pur riconoscendo che una qualsiasi traduzione della Cvetaeva può essere soltanto un simulacro dell’originale, ha lavorato rimanendo fedele al principio della traducibilità della poesia, fondantesi a sua volta su quello della trasmettibilità del significato da un sistema semantico ad un altro. In questo senso il denso carico semantico delle immagini cvetaevene gli è venuto incontro. La Cvetaeva riempiendo di significato anche le unità minime del suo discorso facilita in qualche modo il compito del traduttore che non può non restargli fedele e paradossalmente quella che sembrava una delle poesie più difficili da riportare in lingua straniera, risulta essere-secondo Zveteremich- una delle più capaci di mantenere buona parte delle sue caratteristiche anche in traduzione: “Chi qui scrive (Zveteremich), grazie alla sua applicazione nella versione dei versi (e in parte anche della sua prosa) si sente in. diritto di affermare che la Cvetaeva è capace di resistere nella traduzione come pochi altri poeti”.
La sicurezza di questa affermazione che appare ancor più significativa se pensiamo essere stata scritta al termine della vita, è stata realmente confortata da risultati notevolissimi, che gli sono stati autorevolmente riconosciuti in consesso internazionale, dove alcune sue versioni sono state portate a modello dell’alta qualità raggiunta dalle traduzioni della poetessa russa.
Marina Cvetaeva si colloca come una delle voci principali della poesia russa della prima metà di questo secolo; una poesia che nel suo complesso per dimensioni e significato assurge nel panorama mondiale della letteratura ai primissimi posti e che senza alcun dubbio -come afferma Zveteremich- deve considerarsi la più avanzata, la più in anticipo. Pasternak, Mandel’stam, Majakovskij, Achmatova insieme a quello della Cvetaeva infatti sono i nomi soltanto dei grandissimi che in Russia, insieme a tantissime altre pregevoli voci, hanno rotto con il passato e misurandosi con la contemporaneità hanno riconquistato un posto alla loro poesia, senza relegarsi in posizioni di difesa. Merito principale questo delle avanguardie e di quella russa in particolare, che hanno rifiutato di nascondersi dietro la presunta antipoeticità dell’epoca ed hanno trovato attraverso un cammino di scontro-incontro con la realtà, nuovi contenuti-forme alla poesia.
All’interno di questo quadro la poesia della Cvetaeva risulta tra le più innovative per mezzi e tecniche espressive e sicuramente fra le più difficili per un un’immediata comprensione, ma anche quella che riserva forse le scoperte più grosse al lettore attento; il lettore della Cvetaeva- a dire della stessa poetessa- è un lettore concreativo: “ La lettura è prima di tutto con-creazione. Sei stanco della mia cosa, vuol dire che hai letto bene e hai letto una cosa buona. La stanchezza del lettore non è una stanchezza che svuoti, ma creativa.”
Nella poesia della Cvetaeva la struttura fonica ha un’importanza fondamentale: “Il libro deve essere eseguito dal lettore come una sonata: i segni sono le note. Sta a lui realizzare o deformare”. E’ per questo che allora ogni elemento, ogni fonema si carica di significato e financo la trascrizione grafica (corsivi, parole sillabate etc.) acquista importanza essenziale per una corretta interpretazione della poesia stessa.
Tutto questo, va da sé, complica notevolmente la vita al traduttore ed è forse per questo che si è dovuto aspettare il 1967 (La Cvetaeva muore nel 1941 e la sua prima raccolta è del 1910!) perché uscisse in Occidente una raccolta in traduzione delle poesie della Cvetaeva e fu proprio Zveteremich l’autore di questo primo lavoro sistematico di traduzione-trasmissione della forza creatrice della poetessa russa.
Zveteremich pur riconoscendo che una qualsiasi traduzione della Cvetaeva può essere soltanto un simulacro dell’originale, ha lavorato rimanendo fedele al principio della traducibilità della poesia, fondantesi a sua volta su quello della trasmettibilità del significato da un sistema semantico ad un altro. In questo senso il denso carico semantico delle immagini cvetaevene gli è venuto incontro. La Cvetaeva riempiendo di significato anche le unità minime del suo discorso facilita in qualche modo il compito del traduttore che non può non restargli fedele e paradossalmente quella che sembrava una delle poesie più difficili da riportare in lingua straniera, risulta essere-secondo Zveteremich- una delle più capaci di mantenere buona parte delle sue caratteristiche anche in traduzione: “Chi qui scrive (Zveteremich), grazie alla sua applicazione nella versione dei versi (e in parte anche della sua prosa) si sente in. diritto di affermare che la Cvetaeva è capace di resistere nella traduzione come pochi altri poeti”.
La sicurezza di questa affermazione che appare ancor più significativa se pensiamo essere stata scritta al termine della vita, è stata realmente confortata da risultati notevolissimi, che gli sono stati autorevolmente riconosciuti in consesso internazionale, dove alcune sue versioni sono state portate a modello dell’alta qualità raggiunta dalle traduzioni della poetessa russa.
Giuseppe Iannello
tratto da un articolo apparso su “L’isola” del 9/12/1994