CVETAEVA, Marina Ivanovna (1892-1941) | [prec.] [27] [succ.] |
14 Есть
имена, как
душные
цветы, И
взгляды
есть, как
пляшущее
пламя... Есть
темные
извилистые
рты С
глубокими и
влажными
углами. Есть
женщины. — Их
волосы, как
шлем, Их
веер пахнет
гибельно и
тонко. Им
тридцать
лет. — Зачем
тебе, зачем Моя
душа
спартанского
ребенка?
|
14 Ci
sono nomi, come fiori grevi, E
sguardi — che come fiamme danzano... Ci
sono oscure pieghe della bocca Con
angoli umidi e profondi. Ci
sono donne — chiome come elmetti, Il
cui ventaglio odora di sottile – rovina. Hanno
trentanni. — Perché a te, perché, L’anima
mia di giovane spartano?
|
A
partire da questa poesia il “tu” si alterna al “Voi”: l’amata ha perso
l’identità: è una “memoria” vivente. Marina rimarrà “buona amica”
di Sonja ancora per mesi (l’estate del ’15 la passeranno insieme a
Koktebel’ e ai Monti Santi, presso Harkov), ma il mistero un tempo celato
dietro quella fronte non l’attira più: con Donne potrebbe dire
For may I misse,
when ere I crave,
If I know yet, what I would have.
15 Хочу
у зеркала,
где муть И
сон
туманящий, Я
выпытать —
куда Вам
путь И
где
пристанище. Я
вижу: мачта
корабля, И
Вы — на
палубе... Вы
— в дыме
поезда... Поля В
вечерней
жалобе — Вечерние
поля в росе, Над
ними —
вороны... —
Благословляю
Вас на все Четыре
стороны! |
Voglio
carpire nello specchio, Dov’è
la melma e l’annebbiante sogno, —
Da che parte Voi andrete, dove Voi
troverete asilo. E
vedo: un albero di nave, E
Voi — sul ponte... Voi
— nel fumo d’un treno... Campi Nella
tristezza della sera — Campi, di sera, nella
guazza, E
sui campi — cornacchie... —
Vi benedico, cara, Urbi et orbi!
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Più che il destino dell’amica, si direbbe, povera Marina, che nello specchio intraveda il suo: il ritorno in Russia per mare, da Le Havre, la vaporiera per l’Asia Centrale, i desolati campi e le cornacchie di Elabug.
16 В
первой
любила ты Первенство
красоты, Кудри
с налетом
хны, Жалобный
зов зурны, Звон
— под конем —
кремня, Стройный
прыжок с
коня, И —
в
самоцветных
зернах — Два
челночка
узорных. А
во второй—другой- Тонкую
бровь дугой, Шелковые
ковры Розовой
Бухары, Перстни
по всей руке, Родинку
на щеке, Вечный
загар
сквозь
блонды И
полунощный
Лондон. Третья
тебе была Чем-то
еще мила... —
Что от меня
останется В
сердце
твоем,
странница? 14
июля 1915
|
Nella
prima tu hai amato Un
primato di bellezza, Ricci
con una patina di henné, Il
lagnoso richiamo della zurna, Il
suono — a piedi — della
selce, L’agile
balzo da cavallo, E
– di grani in pietre dure – Due
babbucce arabescate. [1]
Nella
seconda — invece – Il
fine ciglio arcuato, I
tappeti di seta Della
rosea Buchara, Gli
anelli ad ogni dito della mano, La
voglia sulla guancia, L’eterna
abbronzatura tra i merletti E
la Londra by night. [2] La terza ti fu cara Per
qualcosa di più ancora.... —
Che resterà di me Nel
tuo cuore, pellegrina? [1] La prima “amica” (in questa specie di catalogo dongiovannesco) ha una passione per l’Oriente: si tinge i capelli con l’henné, suona la zurna (specie d’oboe a doppia ancia, tipico della musica ottomana) e calza babbucce arabescate di pietre dure. Due versi ermetici (che mi limito a tradurre alla lettera) alludono all’appartenenza dell’amica al genere delle “amazzoni”. Verosimile che Marina abbia avuto notizia di questi particolari dalla stessa Sonja. [2] Iraìda Karlovna Al’brecht, elegante dama moscovita, era stata a Londra con Sonja nel giugno 1914.
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Traduzione e note dal russo di F. Gabbrielli.