CVETAEVA, Marina Ivanovna (1892-1941) | [prec.] [28] [succ.] |
17 Вспомяните:
всех голов
мне дороже Волосок
один с моей
головы. И
идите себе... -
Вы тоже, И
Вы тоже, и Вы Разлюбите
меня, все
разлюбите! Стерегите
не меня
поутру! Чтоб
могла я
спокойно
выйти Постоять
на ветру. |
17 Io
più d’ogni altra testa, ricordàtelo, Ho
caro un capelluzzo della mia. E
andatevene... — Anche Voi, E
anche Voi – sì, anche Voi Finitela,
smettetela d’amarmi! Non
mi tendete trappole al mattino! Che
possa uscire un po’ tranquillamente A
starmene nel vento.
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Il vento chiude anche l’ultima poesia di Sonja per Marina:
Смотрят
снова
глазами
незрячими 5 августа 1915 |
Gettan
di nuovo sguardi che non vedono Oh,
dalla morte mia strappami via, 5 agosto 1915
|
Quello stesso 5 agosto in cui mammà Voloshina, da
Koktebel’, confida alla solita amica: “Non ho ancora
deciso quando tornerò a Mosca. Dipenderà dal tempo o da come mi sentirò
quando resterò sola dopo la partenza (a fine agosto) di Sergej. E’arrivato
qui qualche giorno fa, del tutto inaspettato, per riposarsi e godersi un po’ i
suoi. Ma Marina e Sonja erano già partite per non so dove nella Piccola Russia [oggi
Ukraina], da dei conoscenti di Sonja...”
Marina quell’anno aveva portato con sé a Koktebel’,
oltre alla figlia Alja, la sorella Asja col piccolo Andrjusha, la bambinaia e il
gatto, anche Sonja Parnok e sua sorella Liza. E’ l’estate in cui
Mandel’shtam s’intruppa fra gli obormòtniki [1].
Il 22 luglio tutti tornano a Mosca, tranne Marina e Sonja, che vanno
insieme ai Monti Santi, in quel di Har’kov. Da lì Marina scrive una lettera a
Lilja, la sorella di Sergej:
Cara, cara Lilen’ka,
Stamani ho aperto la finestra e mi sono stupita – da
quanto stormivani i pini. Qui, se non si guarda alla baia di Har’kov, par
d’essere in Finlandia: pini, sabbia, erica, frescura, tristezza. Di sera,
quando è già buio, c’è una strana inquietudine e angoscia: sediamo davanti
al lume a petrolio, i pini stormiscono, le notizie dei giornali non ci escono
dalla testa, - a parte il fatto che son già 8 giorni che non so dove sia
Sergej, e gli scrivo a casaccio quando a Belostok quando a Mosca, senza speranza
d’una pronta risposta. Amo Serjozha per tutta la vita, lui è la mia anima
gemella, mai e poi mai mi staccherò da lui. Gli scrivo ogni giorno, tutto il
giorno, lui conosce tutta la mia vita, solo delle cose tristi mi sforzo di
scrivergli il meno che posso. Sul mio cuore c’è un eterno peso. Con quello
m’alzo e m’addormento. – Sonja mi ama molto e io amo lei – e anche
questo per sempre, anche da lei non potrò mai staccarmi. Il cuore richiude
tutte le lacerazioni dei giorni che mi tocca dividere. La felicità –
semplicemente – si vede, non l’avrò mai, e, in genere, non mi si addice.
Mai c’è una gioia in me, fin nel profondo. Non son capace di fare del male,
ma non posso non fare...” La
lettera termina con le parole: “Sonia manda i suoi saluti”...
[1] Buonannulla, teste di cavolo, come il padrone di casa, Max Voloshin, aveva soprannominato i suoi ospiti (v. Pagina Matta sul n.8 della rivista web Compagno Segreto, in compagnosegreto.it)
Traduzione dal russo e note di F. Gabbrielli.