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INTERVISTA CON IOSIF BRODSKIJ

di Anna Condello  

Reggio Calabria, 27 novembre 1992

Riproduciamo qui di seguito la trascrizione della conversazione col poeta così come si è svolta, mantenendo la successione degli argmenti affrontati nel loro spontaneo e "disordinato" affiorare.

Lei molto spesso usa le anafore. E' possibile che la  ripetizione delle parole sia legata alla monotonia della vita?

Questa è una giusta osservazione. Vi dirò una cosa. Io non so come era prima, ma adesso, negli ultimi dieci o quindici anni, diciamo dieci, del tutto consapevolmente, cerco di liberare i versi da effetti esteriori. Cioè, cerco di non alzare la voce, ma, al contrario, di diminuire la voce. Per di più, cerco, effettivamente, di essere monotono. E questo non è legato alla monotonia della vita; questo prima di tutto è legato - se io posso ragionare sensatamente su ciò di cui mi occupo - al tema principale - se io ho un tema - il tema del tempo. Poiché il tempo, in sostanza è monotono: tic-tac, tic-tac, tic-tac....

Non ricordo quando fu, quindici anni fa, ho letto i versi di un greco, secondo me, era Leonida da Taranto. Di lui ricordo due o tre versi. Questa è una parafrasi libera: «Nel corso della tua vita cerca di assomigliare al tempo, cioè non alzare la voce, cerca di essere monotono, ma se non ti riesce, - aggiunge Leonida - non ti disperare, perché quando morirai diventerai simile al tempo.»

Lei ha scritto Elegie Romane. Che cosa ha provato quando è stato a Roma?

Secondo me, è tutto scritto in quei versi. Non ho assolutamente niente d'aggiungere. Andai a Roma e non era la prima volta, mi pare la quarta o la quinta volta. Alloggiai all'Accademia Americana a Roma. Ebbi una storia d'amore con una ragazza del posto. Il suo nome appare in un verso, ma è nascosto fra quei nomi classici. Questo è il lato obiettivo, il sottofondo fattuale di questo ciclo. Oltre a ciò, una volta ho letto Elegie Romane di Goethe. Esse erano scritte in esametro, senza rima, ma la situazione in cui si trovava Goethe a Roma era analoga, più precisamente, la mia situazione a Roma era analoga a quella di Goethe. Non avevo nessun'altra intenzione. Semplicemente, scrissi i versi su ciò che pensavo, che sentivo e, in quel momento, volevo mettere sulla carta. E questo per la parte che riguarda Roma. Ma come sempre quando si scrive su qualcosa, si aggiunge qualcosa della vita precedente o, se ci si riesce, dalla vita futura. Non ho decisamente niente da aggiungere a proposito di Elegie Romane.

Vorrei sapere se c'è una somiglianza fra Roma e qualche città della Russia, per esempio San Pietroburgo?

No. L'unica che assomigli a Roma, che ha una certa somiglianza con Roma, è New York. E' lo stesso principio imperiale, cioè lo slancio verso la grandiosità. Ma no, non é simile alle città russe. In via di principio, forse, è un pochino simile a Mosca per tale slancio, ma ciò non viene in mente. Penso che, da parte dei miei compatrioti, chiamare Mosca terza Roma sia un grande volo della fantasia. E' completamente un altro principio, un'altra città.

Lei spesso usa, nei suoi versi, nomi tratti dalla mitologia greca. Che significato ha per Lei?

Non so quale significato ha per me. Cercherò di spiegarlo. Tutto questo materiale è parte della civiltà alla quale appartiene la Russia. La Russia, la cultura russa, è parte della civiltà cristiana. E non c'è niente di sorprendente che un autore russo, un autore di lingua russa, usi questo materiale. Cioè, in esso non c'è niente di sorprendente e non sono il solo a trattarne. Ogni russo, più o meno colto, ce l'ha nel suo vocabolario e nella sua coscienza. Questo in primo luogo. In secondo luogo nei versi, abbastanza spesso, ogni poeta, credo, più o meno, tenta di paragonarsi con il passato, con il passato della letteratura, con il passato della cultura, con il passato della poesia. Ed ogni poeta, prima o poi, indossa su di sè, ovvero prova su di sè, la maschera dell'antichità, o cerca nell'antichità qualche precedente o archetipo. Gli archetipi non sono poi molti. La storia degli ultimi duemila anni è povera, in un certo senso, e ci ha fornito quattro, cinque o sei archetipi di comportamento. Cioè, l'uomo può essere coraggioso, buono, canaglia.... Non ci sono poi tante varianti. Per di più, specialmente i poeti, ho notato - non solo io - tentano sempre di trovare per loro un prototipo proprio nella poesia dell'antichità. Cioè, per esempio, esistono quattro tipi, quattro autori di solito, con i quali il poeta si associa o tenta di associarsi. Virgilio, oppure Orazio, oppure Ovidio, oppure Catullo o Properzio - è pressappoco lo stesso, sebbene Properzio sia un poeta molto migliore -. Penso che, per ciò che mi riguarda, è come se mi adulassi, se mi ingannassi: ahimè, sono un poeta assai meno interessante di Ovidio, ma se io scegliessi uno di questi quattro per me, sceglierei Ovidio. E' lui che m'interessa, è più interessante di tutti gli altri. Cioè, non perché sia più interessante. E' qual poeta con il quale io sento, fino ad un certo punto, un'affinità. Non per i fatti della biografia, come ben si addicerebbe: lui è in esilio, io sono in esilio. Questa, per l'appunto, è un'assurdità, una stupidaggine, non ha assolutamente importanza. Semplicemente, per me, Ovidio è interessante per la sua immaginazione, il suo verso paradossale: quando nella riga successiva, quello che c'è nella prima riga, si rivolta al di fuori, cioè si rovescia. Qui non occorre che vi faccia una piccola mini-lezione su Ovidio. Penso che voi ne sappiate più di me. Ma in via di principio, Ovidio è un poeta al più alto grado dialettico. Egli ha fatto la stessa scuola di ..... Bene, non parlerò di Ovidio. E' il più ricco poeta nel senso dell'immaginazione, nel senso della metafora e nel senso del simile. E quindi io sento una certa affinità con Ovidio, mi pare, perché anch'io sono molto inventivo.

Molto spesso i critici paragonano le Sue poesie ...

Oh, poesia! I versi possono essere versi, ma possono non essere poesia. La poesia è un tale miscuglio di rivelazione, di penetrazione, in generale, è la comprensione delle cose ecc... I versi sono, semplicemente, il mezzo della poesia, ciò che si chiama mezzo di trasporto. E' come un treno, i treni, i vagoni ecc... E dove vi porteranno è la poesia. Ma possono non portarvi.

Molto spesso i critici paragonano Lei con i poeti metafisici inglesi, ad esempio Jonh Donne. Lei ritiene che si possa fare tale paragone, e che cos'è per Lei la metafisica?

Non mi definisco un poeta metafisico. Riguardo alla metafisica, chieda a qualcuno in chiesa, non a me. Riguardo a Donne, provo a rispondere brevemente. Il fatto è che, quando avevo ventitré anni, se non sbaglio, lessi qualche verso di Donne. Essi mi fecero una forte impressione. Mi fecero impressione non solo per la loro profondità e per il sistema metaforico assolutamente straordinario e il sistema metafisico. Mi fecero impressione prima di tutto per la struttura della strofa. Il fatto è che, la poesia russa, nel senso della struttura della strofa, è abbastanza monotona. Di solito, c'è la quartina, l'ottava rima, che cosa ancora?..., il sestetto ecc... Ma non più di questo. Le strofe, più o meno, sono terribilmente banali: o couplet o distico. In Donne la strofa è estremamente complicata, estremamente interessante, cioè l'architettura delle strofe è  estremamente interessante. In essa è combinato il multiforme sistema della rima. E questo mi ha un pò eccitato. E ho pensato: non è possibile fare questo in russo? Oppure fare qualcosa di simile in russo, cioè, almeno tentare di mostrare alla poesia russa che cosa si può fare nei versi, quali unità strofiche si possono utilizzare. Questo, naturalmente, non me l'ero posto come obiettivo cosciente, sebbene scrivessi i versi due o tre o quattro volte, appositamente perché ciò fosse, fino ad un certo punto, formalmente simile a Donne.

Paragonarmi a Donne è impossibile, penso, perché sono, per di più, un poeta più povero di Donne. Cioè, sono meno intelligente, meno profondo e meno colto. E quindi il paragone non è molto fondato. Ma il scrissi una volta una lunga poesia: Grande Elegia a John Donne, e tutti si sono lanciati lì, in quella direzione. Perché là, effettivamente, ritengo che, per un osservatore imparziale i versi che io ho scritto - e che scrivo - non siano molto simili a quello a cui siamo abituati nella poesia russa. Ma questo non significa che sono simile a Donne. Molto spesso si dice questo, lo sento, leggere praticamente è impossibile. Molto spesso i critici, i ricercatori, i giornalisti, dicono che nella mia poesia c'è una forte influenza inglese. E' un pensiero semplice, perché, dal momento che vivo in un paese anglofono da vent'anni, l'influenza esiste. Tuttavia non so in cosa consista. Credo che chiedermi questo sia assurdo, perché per me rispondere a questa domanda, è come per il gatto acchiappare la propria coda. Si può acchiappare, ma questa è sempre lo stesso gatto.

Lei si attiene a qualche schema metrico quando compone?

No. Esso sorge da se mentre componi. Sorge qualcosa che viene in mente e allora sorge lo schema. Ma all'inizio tale schema non c'è. Inizialmente non ci si pone nessuno scopo. Cioè tu sai cosa vuoi dire e, più o meno, immagini la massa dei versi, cioè, tu immagini di quanti versi sarà la riga, immagini la sua massa. Ma, molto spesso, è nel corso della composizione che il verso inizia ad assumere la propria massa. E la cosa più interessante che avviene in realtà nella poesia, è che essa inizia a svilupparsi in un modo centrifugo. Assume uno sviluppo più ampio di quello supposto. Questa massa si propaga, talvolta richiede un aumento. Questo succede anche perché si usano le strofe. E le strofe hanno questa tendenza ad accumulare il suono. E in conseguenza di questa accumulazione, molto spesso, vai avanti. Aggiungi strofe puramente per logica musicale, hai già esaurito il tema, sembrerebbe, ma aggiungi ancora due o tre strofe.

Ma ecco un semplice esempio: c'è una meravigliosa poesia di Pasternak, 'Maddalena'. E questa poesia su che cosa è' La poesia è sulla Crocifissione e l'Ascensione. Ma, da qualche parte, nella sesta strofa, tutto cambia. Egli è già crocifisso ecc... E nel senso della dottrina religiosa, del  soggetto religioso, non c'è più niente, non è più detto niente. Ma puramente la necessità musicale della poesia, obbliga Pasternak ad andare avanti ed egli esce dai limiti del dogma:

 

                        La gente prima delle Feste fa le pulizie

                        In disparte da questo trambusto

                        Io lavo con l'olio santo del secchiello

                        I piedi purissimi tuoi.

                        I tuoi piedi ho appoggiato sul lembo dei vestito

                        Li ho bagnati di lacrime, Gesù,

                        Un filo di collana ho avvolto intorno a loro,

                        Nei capelli ho nascosto, come in burnus

                        Il futuro vedo così nitidamente,

                        Come se tu l'avessi fermato.

                        Io adesso sono capace di predire.

          Con saggia chiaroveggenza di sibilla.

          Domani cadrà la tenda nel tempio,

          Noi ci raduneremo in circolo in disparte,

          E la terra vacillerà sotto i piedi,

          Forse, per pietà verso di me.

          Si allineeranno le file della scorta,

          E comincerà la partenza dei cavalieri

          Come il turbine nella bufera, sopra la testa

          Questa croce bramerà il cielo.

 

Basta. Il soggetto è esaurito: «questa croce bramerà il cielo». Ha bisogno di elevarsi e dice:

                        Mi getterò sulla terra ai piedi del crocifisso

                        Mi sentirò gelare il cuore e mi morderò le labbra.

                        Di troppo le braccia per un amplesso

                        Tu allargherai alle estremità della croce.

Queste sono parole sorprendenti. E' una eresia. Infatti:

                        Per chi al mondo tanta spaziosità,

                        Tanto tormento e tale potenza?

                        Ci sono tante anime e vite nel mondo?

                        Tanti villaggi, fiumi e boschi?

                        Ma passeranno tre giorni tali

                        E faranno cadere in tale vuoto

                        Che in questo terribile intervallo

                        Io raggiungerò la resurrezione.

 

Cioè, il soggetto si esaurisce, ma la necessità vocale lo obbliga a salire ancora più lontano. Ed egli esce dai limiti della dottrina religiosa. Oltre a ciò bisogna ancora tener presente che questo parla di una donna, cioè Maddalena, di cui è noto che sia una puttana. Questa è una poesia sconvolgente:

                        Di troppo le braccia per un amplesso

                        Tu allargherai alle estremità della croce.

Cioè, qui la logica è fenomenale. Ma questo, proprio perchè la necessità vocale lo obbliga a salire oltre.

 

Quando Lei scrive, ritorna su quanto ha scritto, modifica qualcosa, cioè lavora sui versi?

Talvolta si, talvolta no. Più spesso no. Perché tornare su ciò che hai scritto, specialmente dopo un mese, dopo due, è impossibile. Tu sei già un altro uomo. Sempre in qualche luogo, te ne vai da te stesso. Penso di essere un poeta al massimo grado formale. E penso che ogni mia opera artistica abbia la sua propria forma. Non dico a me stesso: «scrivo versi di questa o di quella dimensione». Perché quando inizio a scrivere versi non c'è una scelta. Tu non scegli la forma. I versi stessi, fino ad un certo punto, dettano. Ci sono dei versi meravigliosi. Traduzione di Pasternak. Sono versi proprio di Pasternak. E cominciano così:

                        Non io scrivo versi

                        Essi come un libro scrivono me

                        E il corso della vita li fa nascere.

 

Quando scrivi versi non scegli la misura. Ma visto che già usi una data misura, cerchi di ottenere una certa perfezione della forma. Penso che io non sono solo formale, sono formale in modo folle. Non solo per fare un'impressione favorevole sul lettore, ma per annichilirlo.

...Ad esempio, Enigma ad un angelo. Potrebbe spiegarmi cosa significa:

 

                        Due barche affondano nelle conversazioni

                        che le scarpe nella stanza brillano,

                        ma alle ostriche non schiacciano le valve.

 

Le scarpe sono le barche, esse stanno accanto al letto, sul pavimento. Assomigliano alle barche. Un determinato tipo di scarpe si chiama così: barchette. Esse non camminano, non si muovono sulla sabbia, adesso. Sono come barche trascinate sulla sabbia. Cioè, le barche sono fuori e le scarpe dentro, e al contrario.

E ancora:

 

                        Una calza strappata su di una pietra,

                        curvata nel buio, come un cigno,

                        guarda il soffitto dalla svasatura,

                        come se fosse una rete che si annera.

 

Questa è una doppia metafora, un doppio confronto. Una calza - quando c'erano le calze e non i collant, ai vecchi bei tempi - quando è appesa sullo schienale della sedia, allora l'estremità più larga, guarda il soffitto. Essa si piega come se fosse il collo di un cigno, ed è effettivamente simile ad una rete che prende i pesci. Tutto qui, niente di straordinario.

Semplicemente la ragazza dorme, si è tolta tutto. E' molto interessante da vedere. Soprattutto per ... Non per lei. A quel tempo era tutto abbastanza nuovo.

Poi, di nuovo, ritorna l'immagine dei due mari divisi. Lei parla delle reti:

                        Due mari grazie al muro,

                        grazie alla mente oscura,

                        qui cosi scissi,

                        che le reti nel buio pendono

                        vuote in questo abisso,

                        tuttavia aspettano l'emersione

                        dal filo gettato attraverso la croce,

                        nella finestra che li unisce entrambi.

 

La croce è la cornice della finestra, e se vuoi avete mai visto un argano che tira la rete fuori dall'acqua, anch'esso è cruciforme. E per tirare le reti fuori dall'acqua, si mette in moto, gira, è meccanico. Ed ecco che questa croce gira e tira fuori dall'acqua la rete, vuota o con i pesci. Aspetta l'emersione. E quindi, sia la calza che la rete pendono, più o meno, da questa croce nella finestra. E' uno sguardo alla finestra e uno sguardo dalla finestra nella stanza. Pressappoco così. Niente di particolare. Non è complicato. La croce è come se rappresentasse un filo che unisce, un elemento che unisce la calza - e di qui il filo - e la rete. E la calza si riempie la mattina, quando lei l'indossa, e la rete si riempie quando i pescatori la tirano fuori..

Sono versi di trent'anni fa!

...E più avanti si legge:

                        Ma immobile è la casa, e lo steccato

                        nel buio si tuffa con i galleggianti,

                        e un'ascia piantata nell'ingresso

                        solo segue i segni della fluttuazione.

 

Sullo steccato, di solito, si appendono i vasi di terracotta. Per ciò che riguarda i legni della fluttuazione, è chiaro? Essi sono travi che la risacca getta sulla riva.

Che legame c'è fra lo steccato e le travi?

E' semplicemente la descrizione dell'esterno, della casa. Tutto è orientato verso il mare. Cioè, lo steccato è simile ai galleggianti.

E l'ascia?

E l'ascia è interessata a quei ceppi, a qual legno che il mare rigetta. Perché l'ascia, quando questo legno si tirerà fuori, dovrà spaccarlo. L'ascia ha un suo diretto interesse.

Dove ha scritto questa poesia, dove vedeva tutto questo?

In Estonia. Il posto si chiama Pirta. E' un piccolo villaggio di pescatori non distante da Tallin, a 60 Km.

Di nuovo Lei parla delle ostriche e dice:

                        mentre preme le ostriche nella sabbia

                        col piede, un incorporeo osservatore.

 

Questo è evidentemente un angelo che cammina. E voglio ancora dire che cosa c'è dietro questo. Le ostriche, veramente, non sono ostriche. Sono fili. Hanno gusci ellissoidali e sono molto simili a degli occhi chiusi. E questo angelo cammina. Esiste un legame abbastanza diretto fra questa poesia e una poesia scritta da qualche parte nel 1970 o 71, non ricordo, che si chiama Sei anni dopo. Là c'è la stessa idea del sogno e la mano che chiude gli occhi. La mano maschile che chiude gli occhi di una donna, come se acchiappasse una farfalla. Quando si chiudono gli occhi le ciglia si muovono, come se fossero una farfalla catturata.


Questa è la prima volta nella vita che io spiego versi a chicchessia!

Chi è Mademoiselle Veronique?

Mademoiselle Veronique è una mia conoscente. E' francese. E' un'insegnante, insegna filologia e archeologia classica alla Sorbonne. Siamo nel 1967 - 68. E' un personaggio reale. E questa è una poesia eccezionale. Lo penso fino ad oggi. E sono, vedete, vecchie poesie alle quali ti riferisci. Ho molta simpatia verso di esse. E' una poesia meravigliosa. Non capisco del tutto come l'ho scritta, ma tuttavia...

Da quanto tempo Lei non è stato in Russia. Non l'attrae tornare a casa?

Si e no. Ho almeno due punti di vista su ogni cosa. Durante uno stesso giorno mi attrae e non mi attrae. E' come ritornare dalla prima moglie. E' interessante. Da un lato sì, dall'altro non molto. Scherzo. Non ho scelto.

Non L'hanno invitata?

Mi hanno invitato i miei conoscenti, due o tre volte. Ma ogni volta non andava bene il periodo. Ora insegni - io insegno per un semestre - ora hai qualche altro impegno, devi essere anche da qualche parte.

 Semplicemente, là sono tutti morti. E quelli che vivono non sono poi così interessanti. Riguardo ai giovani, in generale, non si capisce in quale lingua esprimersi con loro. E temo che, adesso, arrivare con questa aureola che mi trovo si trasformi in giubilo popolare, ed essere oggetto di esultanza non mi piace affatto. E' più difficile sopportare un approccio buono, che uno cattivo.  Da una parte c'è la voglia e dall'altra... E inoltre, tutto il tempo ti allontani da tutto, ogni giorno. E alla fin fine ti trasformi, in un certo senso, in un apparecchio cosmico. Cioè, dapprima su di te agiscono tutte queste forze, tutte queste leggi di gravità, di gravitazione all'indietro, verso Bajkonur[1]. Ma gradualmente accade qualcosa di singolare. Tu provi la gravità, ma la gravità verso casa si indebolisce e si intensifica la gravità verso l'esterno, nell'aperto cosmo. Ecco che cosa succede in realtà. E già, fino ad un certo punto, è quasi impossibile tornare. Tornerò. E che cosa succederà' Andrò per le strade con i soldi in tasca, guarderò quella miseria, non capirò niente, sorriderò e saluterò la gente. E dopo cinque - sei giorni, salirò su un aereo e sparirò. Ma questo non mi entra in testa. Io so che la gente lo fa, ma è semplicemente l'altra gente. Ad alcuni questo piace terribilmente, ma io non so... Non sono fatto della stessa pasta. Non lo sopporto. Mostrarsi nella situazione di chi è felice, mentre la massa della gente... Io sono sempre stato come tutti e adesso sembro speciale. Sono sentimenti complicati.

Quali legami mantiene con gli altri poeti e scrittori russi?

Molti. Ho parecchi amici che ancora sono rimasti da quei tempi. I versi che essi scrivono mi piacciono molto. Ogni uomo è solidale o leale nei confronti della sua generazione. Lo voglia o non lo voglia. Sono le sole persone che egli capisce o, fino ad un certo punto, sono le sole persone che lo capiscano. E con loro ho stabili legami, che prima essi temevano. Ed io da parte mia non volevo spaventarli. Mi riferisco a quindici-diciotto anni fa. Ma nell'ultimo periodo tutto si è semplificato e tutto è diventato non così pericoloso. E quindi essi mi scrivono molto spesso, mandano, vengono essi stessi. Ho visto quasi tutti quelli che volevo vedere. I poeti della generazione più giovane mi mandano in continuazione poesie, opere, affinché io dica loro qualcosa. Dica cosa penso ecc.... E quando mi piace, muggisco qualcosa, dico qualcosa. Quando non mi piace, talvolta lo dico anche, ma, in generale, per questo non basta la vita, non basta il tempo. Ogni giorno sono tre o quattro chili di posta. E' la verità! E venirne a capo è impossibile, e, involontariamente, in un certo modo, offendi qualcuno, suppongo.

 Mi ha colpita la strana forma dei versi nelle poesie Fontana e Colloquio con un celeste. Sono scritte in un altro modo, si distinguono dalle altre poesie.

In parte si, sebbene non troppo. Fontana è quasi una poesia figurativa. Sono lavori antico-alessandrini. Anch'essi [i poeti alessandrini] scrivevano poesie in forma di trapezio, rombo ecc... E Fontana è in teoria come se fosse una piccola fontana barocca nel palazzo Stroganov a Pietroburgo. E questa è la sua descrizione. Tento di riprodurre in forma di strofa una fontana a più ordini. Questo da una parte. Riguardo a Colloquio con un celeste, in essa, mi sembra, cerco di riprodurre la forma di una croce. Il motivo cristiano, come si dice. E' puramente visuale. E questa organizzazione opera nel subcosciente del lettore, prima o poi. La ripetizione di questa figura geometrica, inizia a suscitare certe illusioni.

E, proposito, questo è in parte ciò che io, evidentemente - come affermano - ho imparato da Donne. Forse questo è un bell'esempio, sebbene sia poco probabile. Per la dizione ciò non è affatto Donne. Per la dizione per  la velocità, per l'energia è un altro poeta, penso. Se si parla di poeti inglesi, è un altro poeta, un poeta contemporaneo: Dylan Thomas, penso. Così mi sembra almeno per le prime due righe. Dopo è già una cosa più o meno mia. Semplicemente, la ricchezza puramente linguistica è un'altra. Ma, di nuovo, si tratta di molto tempo fa. Quando voi ancora non eravate fra i vivi.

C'è una grande differenza fra le poesie recenti e le poesie che Lei ha scritto a quel tempo?

Si, hanno completamente un altro suono, un'altra tensione vocale. Questi versi, i primi versi, raggiungono il loro risultato. E' come se pestassero. Pesano sulla psiche del lettore. Cercano di soggiogarlo. In questi versi ti muovi sul lettore. Io ricordo che era come un carro armato, in modo che egli non avesse dove nascondersi, che non potesse scansarlo, che diventasse la fisica realtà oggettiva. Gli ultimi versi hanno completamente un altro principio. Essi devono ammaliarvi con qualcos'altro, con la loro piena neutralità. In realtà, bisogna dire due cose. Ogni carriera letteraria, fino ad un certo punto, inizia da un'aspirazione interiore di automiglioramento, cioè, se vi sembra meglio, da una aspirazione alla santità. Nel processo della creazione risulta, molto spesso, che la vostra penna sia di gran lunga più dotata di talento della vostra anima. E, molto spesso, diventate scrittori di professione, poeti ed ecc... Iniziate a sottomettere il pubblico a voi stessi, al pubblico piace tutto e voi siete già parte del pubblico e della letteratura Ma come anima, voi, in un certo senso... Questo va in secondo piano e voi, fino ad un certo punto, morite perfino. E' necessario uno sforzo inverosimile, del quale non siete capaci. E non penso di esserne capace. E' necessario uno sforzo inverosimile, per unire queste forbici divergenti e mantenerle così. Ed ecco, per esempio Gogol'. Quando egli capì questo, bruciò la seconda parte delle Anime morte. E per questo bisognava farlo santo, canonizzarlo, penso. Se fossi stato la Chiesa Ortodossa Russa, lo avrei fatto. E, quindi, penso che un poeta evolve, non solo perché egli non vuole ripetere le stesso cose che ha fatto - è una considerazione estremamente importante - ma prima di tutto perché la sua anima evolve. E quello che l'anima gli suggerisce è più importante di quello che egli può fare. E quello che - se siete d'accordo lasciamo stare l'anima - il tempo, quando suona, gli suggerisce è più importante di ciò che egli stesso sia capace. Forse ciò è sbagliato. Ecco tutto.



[1]Centro spaziale sovietico da cui fu lanciato Gagarin nel 1957.

 

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