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BRODSKIJ SPIEGA BRODSKIJ

Nel 1992, dopo tanti altri riconoscimenti internazionali tra cui il premio Nobel per la letteratura 1987, Iosif Brodskij ricevette il Premio «Città dello Stretto», assegnato dalle due città gemelle Messina e Reggio Calabria. In tale occasione un'intraprendente studentessa dell'Università di Messina, Anna Condello, che proprio sull'opera di Brodskij intendeva scrivere la sua tesi di laurea, ottenne dal poeta una lunga intervista esclusiva. L'intervista, di cui si presentano qui alcuni brani significativi, è eccezionale sotto diversi punti di vista. Anzitutto perché è inedita, essendo entrata solo come appendice nella tesi di cui si è detto (La penna e l'anima di un poeta. Iosif Brodskij commenta sé stesso, Messina, giugno 1994). In secondo luogo, per il suo tono, disteso, a volte ironico ma contemporaneamente intimo, il tono pudico di un poeta che rivela sé stesso. Da ultimo, per l'oggetto dell'intervista, la poesia stessa di Brodskij. Mai, infatti, il poeta aveva acconsentito a commentare la sua stessa opera, a collocarla storicamente, a ricostruirne l'ambientazione, la genesi. A fornire la chiave interpretativa della sua poesia.
Brodskij che spiega Brodskij. Forse il modo migliore per lasciare spazio dentro di noi a un grande poeta. 

prof. Giuseppe Ghini

 

         Le scarpe & le barche

- C'è una sua poesia che si chiama Enigma ad un angelo. Potrebbe spiegarmi che cosa significano i versi:

«Due barche affondano nei conversari:

scintillano le scarpe nella stanza,

ma non potranno mai forzare un ostrica».

Le scarpe sono le barche, esse stanno accanto al letto, sul pavimento. Assomigliano alle barche. Un determinato tipo di scarpe si chiama così: barchette. Sono come barche tirate sulla riva. Cioè, le barche sono fuori e le scarpe dentro, e al contrario.

- E ancora:

«Una calza strappata su una pietra,

curvata dentro il buio, come un cigno,

guarda il soffitto dalla svasatura,

come una scorticaria che si annera».

Questa è una doppia metafora, un doppio confronto. Una calza ? quando c'erano le calze e non i collant, ai bei vecchi tempi ? quando è appesa sullo schienale della sedia, allora l'estremità più larga guarda il soffitto. Essa è piegata come fosse il collo di un cigno, ed effettivamente è simile ad una rete che prende i pesci. Tutto qui, niente di straordinario. Semplicemente la ragazza dorme, si è tolta tutto. È molto interessante. Soprattutto per?Non per lei. A quel tempo era tutto abbastanza nuovo.

 

          Il mare diviso

- Poi di nuovo ritorna l'immagine del mare diviso in due. Lei parla delle reti:

«E, grazie al muro ed alla mente oscura,

sono sorti due mari, così scissi,

che pendono le reti in questo abisso,

nel buio, vuote, ma pronte ad emergere

dal filo gettato attraverso la croce

nella finestra che li unisce entrambi».

La croce è la cornice della finestra, e se voi avete mai visto un argano che tira la rete fuori dall'acqua, si mette in moto, gira, è meccanico. Ed ecco che questa croce gira e tira fuori dall'acqua la rete, vuota o con i pesci. Aspetta l'emersione. E quindi, sia la calza che la rete pendono, più o meno, da questa croce nella finestra. È uno sguardo alla finestra e uno sguardo dalla finestra nella stanza. Pressappoco così. Niente di particolare. Non è complicato. La croce rappresenta un filo che unisce, un elemento che unisce la calza ? e di qui il filo ? e la rete. E la calza si riempie la mattina, quando lei l'indossa, e la rete si riempie quando i pescatori la tirano fuori?Sono versi di trent'anni fa!

          Lo steccato & le travi

- ...E più avanti si legge:

«Ma immobile è la casa, e lo steccato,

nel buio si tuffa coi galleggianti,

e un'ascia piantata nell'ingresso,

solo segue i legni della fluttuazione»

Sullo steccato, di solito, si appendono i vasi di terracotta. Per ciò che riguarda i legni della fluttuazione, è chiaro? Essi sono travi che la risacca getta sulla riva.

- Che legame c'è fra lo steccato e le travi?

È semplicemente la descrizione dell'esterno, della casa. Tutto è orientato verso il mare. Cioè, lo steccato è simile ai galleggianti.

- E l'ascia?

E l'ascia è interessata a quei ceppi, a quel legno che il mare rigetta. Perché l'ascia, quando questo legno si tirerà fuori, dovrà spaccarlo. L'ascia ha un suo diretto interesse.

- Dove ha scritto questa poesia, dove vedeva tutto questo?

In Estonia. Il luogo si chiama Pirta. È un piccolo villaggio di pescatori non molto distante da Tallin, a 60 Km.

- Di nuovo Lei parla delle ostriche:

«mentre preme le ostriche nella sabbia,

col piede, un incorporeo osservatore.»

Questo è evidentemente un angelo che cammina. E voglio ancora dire cosa c'è dietro ciò.
Le ostriche, veramente, non sono ostriche. Sono fili. Hanno gusci ellissoidali e sono molto simili  a degli occhi chiusi. E questo angelo cammina. Esiste un legame abbastanza diretto fra questa poesia e una poesia scritta da qualche parte nel 1970 o 71, non ricordo, che si chiama Sei anni dopo. Là c'è la stessa idea del sogno e la mano che chiude gli occhi. La mano maschile che chiude gli occhi di una donna, come se acchiappasse una farfalla. Quando si chiudono gli occhi le ciglia si muovono, come se fossero farfalle catturate.
Questa è la prima volta che io spiego versi a qualcuno!

- C'è una grande differenza fra le poesie recenti e le poesie che Lei ha scritto in quel tempo?

Si, hanno completamente un altro suono, un'altra tensione vocale. I primi versi raggiungono il loro risultato. È come se ?pestassero?. Pesano sulla psiche del lettore. Cercano di soggiogarlo. Ricordo che fossero come un carro armato, in modo che il lettore non avesse dove nascondersi, che non potesse scansarli, che diventassero la fisica realtà oggettiva. Gli ultimi versi hanno completamente un altro principio. Essi devono ammaliarvi con qualcos'altro, con la loro piena neutralità. In realtà, bisogna dire che ogni carriera letteraria inizia da un'aspirazione interiore di auto-miglioramento, da un'aspirazione alla santità, se volete. Nel processo delle capacità creative risulta, molto spesso, che la vostra penna sia di gran lunga più dotata di talento della vostra anima. E, molto spesso, diventate scrittori, poeti di professione. Iniziate a sottomettere il pubblico a voi stessi, al pubblico piace tutto e voi siete già parte del pubblico e della letteratura. E l'anima in un certo senso rimane in secondo piano e voi morite perfino. È necessario uno sforzo inverosimile affinché queste forbici divergenti (della penna e dell'anima) si uniscano e si mantengano insieme; uno sforzo di cui io stesso penso di non essere capace.
Quando, per esempio, Gogol' si rese conto di questo, bruciò la seconda parte delle "Anime morte". E per questo bisognava farlo santo. Se fossi stato la Chiesa ortodossa russa lo avrei fatto. E, quindi, penso che un poeta evolve non soltanto perché non vuole ripetersi - è una considerazione estremamente importante - ma soprattutto perché è la sua anima che evolve. E ciò che l'anima (o il tempo se vi pare) suggerisce al poeta è più importante di ciò che egli stesso sia capace di fare.

da "Studi Cattolici", marzo 1996